Rapporto ANICA su Cinema e Audiovisivo, l’Italia è un distretto industriale diffuso

by Antonella Soccio

Un cinema sospende le attività a Bari, un altro a Foggia si reinventa. Il settore dell’audiodivisivo si è presentato con un rapporto, illustrato da Francesco Rutelli Presidente di ANICA, con l’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte.

Il lavoro condotto dal Centro Studi di Confindustria racconta in numeri l’industria dell’Audiovisivo nel suo complesso, il valore economico e i posti di lavoro generati direttamente e indirettamente, in numerose filiere connesse, da cui emerge come il Cinema, l’Audiovisivo, la Televisione siano un comparto integrato e una risorsa indispensabile per il Paese.

Nelle imprese italiane di audiovisivo e broadcasting si conta un totale di 61 mila posti di lavoro diretti (dipendenti o assimilabili). Nelle filiere connesse ne sono attivati quasi il doppio, circa 112 milaPer la prima volta viene stimato il valore dell’occupazione indotta, che esiste, quindi, in funzione dell’attività dell’industria audiovisiva. Tra diretti e indiretti, sono 173 mila i posti di lavoro complessivi generati da Cinema, Audiovisivo, Broadcasting.

Il premier Giuseppe Conte col presidente Anica Francesco Rutelli

Nel rapporto si mette in evidenza, inoltre, come il comparto dell’audiovisivo attivi lavoro giovane e femminile più della media nazionale (39% di donne vs la media del 36%), oltre che sottolinearne la forte componente di competenze specialistiche, artistiche e tecniche.

La forza lavoro del settore è caratterizzata da una maggiore presenza di under 50 (77% vs 73% di media nazionale); nel settore della produzione, in particolare, un quarto degli occupati ha meno di 30 anni.

Significativo è anche il numero di posti indotti dall’audiovisivo nel settore dei servizi ad alto contenuto di conoscenza: un totale di 43 mila, di cui 26 mila tra ingegneri, architetti, consulenti legali, designer, fiscalisti e 17 mila nelle professioni creative e artistiche.

La produttività del lavoro, in termini di valore aggiunto per addetto, è molto elevata in Italia e risulta terza in Europa dopo Belgio e Germania e prima di Regno Unito, Spagna e Paesi Scandinavi. Nella classifica mondiale dell’Audiovisivo, l’Italia – malgrado l’andamento abbia risentito della doppia crisi economica dell’ultimo decennio, pur difendendosi meglio dell’industria manifatturiera – si trova tra i primi dieci Paesi del mondo. L’export dei prodotti audiovisivi italiani registra una dimensione importante, pari a 890 milioni di euro, molto superiore al valore dell’import infra-settoriale, pari a 120 milioni.

I dati del lavoro si riferiscono all’anno 2016. Nel contesto audiovisivo, il 2016 è l’anno di massimo successo di un film italiano in sala (Quo Vado? di Gennaro Nunziante, quasi 10 milioni di biglietti venduti); quello in cui entra in operatività il tax credit esteso a tutti i prodotti audiovisivi; quello in cui vengono trasmesse le serie “The Young Pope” e la seconda stagione di “Gomorra”. Un anno di maturità dell’industria di produzione italiana, ma in cui ancora non si possono vedere gli effetti degli investimenti in produzioni originali delle piattaforme on demand. Netflix ha debuttato il 16 ottobre 2015. La prima serie originale italiana di Netflix, “Suburra”, è stata prodotta nel 2016 e pubblicata nel mondo (e in Italia) nel 2017. I dati rappresentano pertanto la fotografia del «prima».

Come si legge nel rapporto, l’industria dell’audiovisivo è un’industria «leggera», mobile, dinamica, fortemente radicata nel territorio e integrata nel sistema produttivo italiano. Il prodotto audiovisivo è immateriale e, per questa sua caratteristica, sfugge – in parte – ai parametri tradizionalmente utilizzati per analizzare l’industria che produce beni fisici. Si possono individuare, comunque, alcune variabili utili per misurarne il perimetro: numero d’imprese, occupati (diretti e indiretti), capacità di concorrere alla crescita economica, posizionamento nel confronto internazionale. Il contesto globale del settore è in rapida trasformazione, per l’affermazione sul mercato di realtà multinazionali extraeuropee che, grazie alla pervasività della distribuzione digitale, stanno modificando radicalmente i paradigmi tradizionali sui quali si era fondata l’industria dell’audiovisivo. Anche la domanda di prodotti audiovisivi sta cambiando, trainata sempre più dai consumi delle famiglie, senza confini geografici. Questi cambiamenti, non solo tecnologici, rappresentano, per l’audiovisivo italiano, una sfida ma anche un’opportunità che è necessario saper cogliere.

L’Italia tra il 2006 e il 2018 ha quasi dimezzato la quota sul valore aggiunto globale del settore, passando dal 4 al 2,3%. Ha perso contestualmente 2 posizioni nella classifica mondiale, dal 7° posto nel 2006 al 9° posto nel 2018 (a pari merito con Australia e Canada). Il crollo è concentrato tra il 2010 e il 2014, in corrispondenza degli effetti della crisi che hanno ridimensionato il valore della produzione, verosimilmente incidendo maggiormente sul settore broadcasting. Dal 2014 in poi, con la ripresa del settore audiovisivo italiano, la situazione dell’Italia è andata migliorando, e dopo aver recuperato posizioni nella classifica si è stabilizzata. Nell’ultimo decennio il settore audiovisivo ha registrato importanti cambiamenti nel contesto internazionale, soprattutto per effetto della crescita dirompente di Cina e India, che, come accaduto in tutti gli altri settori dell’economia, sono emersi ai primi posti delle classifiche mondiali, anche grazie a una dimensione assoluta delle rispettive economie che è paragonabile a quella di un intero continente.

A fronte di circa 61 mila posti di lavoro esistenti nel settore audiovisivo (dato Istat 2016), si stimano più di 112 mila posti di lavoro ulteriori nelle filiere connesse, lavoro che esiste per soddisfare la domanda di beni e servizi proveniente dall’audiovisivo. In totale, dunque, i posti di lavoro diretti e indiretti generati sono circa 173 mila.

Più di un terzo del totale dei posti di lavoro indirettamente creati dall’audiovisivo in Italia appartengono al comparto dei servizi di rete, che include, tra gli altri, il commercio, i trasporti, le telecomunicazioni, l’energia. Particolarmente significativo, inoltre, è il numero di posti di lavoro generati dall’audiovisivo nel settore dei servizi ad alto contenuto di conoscenza: più di 26 mila posti di lavoro tra ingegneri, architetti, consulenti legali, designer, fiscalisti, addetti alla contabilità esistono per rifornire le imprese audiovisive e del broadcasting italiano; nell’ambito più propriamente artistico l’effetto occupazionale derivante dalla domanda del settore audiovisivo vale circa 17mila posti di lavoro, il 15% dell’indotto. Complessivamente, quindi, oltre 43mila posti di lavoro sono generati da competenze specifiche dell’audiovisivo, siano esse tecniche o artistiche. Essi corrispondono a oltre il 70% dei posti di lavoro creati direttamente dalle imprese italiane dell’audiovisivo e del broadcasting.

L’avvento della rivoluzione digitale sta portando, a livello globale, cambiamenti profondi e strategici nel modo in cui le imprese poste ai vari livelli della filiera audiovisiva generano e trattengono valore aggiunto al loro interno. Tali cambiamenti, se non ben interpretati e indirizzati, rischiano di marginalizzare il settore audiovisivo italiano nel panorama internazionale, con pesanti ricadute sul resto dell’economia del Paese. Anche se il prodotto audiovisivo è per sua natura intangibile e aperto al mondo, la sua industria deve mantenere il radicamento ai territori di specializzazione per rinnovarsi. Servono politiche adeguate per evitare di perdere le professionalità e le abilità che hanno consentito all’audiovisivo italiano di raggiungere risultati straordinari. L’esperienza dei distretti manifatturieri mostra come l’unicità dei saperi accumulati e tramandati dalle maestranze e la forza dei legati di filiera tra le imprese che li popolano siano ingredienti fondamentali per continuare a competere con successo in mercati globali sempre più complessi. Rispetto all’economia audiovisiva globale, l’Italia può essere considerata essa stessa un distretto industriale diffuso.

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