“La casa di Jack”, Matt Dillon serial killer e psicopatico per Lars Von Trier

by Marianna Dell'Aquila

“Non sapevo se accettare o meno, perché mi spaventava tanto orrore. Ho avuto difficoltà in alcune scene, non riuscivo a staccarmi da me per pensare soltanto che fossi Jack, come nelle scene in cui ci sono le donne che supplicano per non essere uccise”. Così l’attore americano Matt Dillon ha parlato della sua esperienza nei panni serial killer de La casa di Jack.

La casa di Jack è un thriller disturbante e spietato in cui nulla è nascosto,  il “più violento che abbia mai realizzato” ha detto Lars Von Trier. La storia, ambientata negli anni ’70, è narrata dal punto di vista di Jack, un serial killer psicopatico con più di sessanta omicidi all’attivo. In una lunga conversazione con un’entità immaginaria di nome Virgilio (interpretato da Bruno Ganz scomparso da poco), Jack ripercorre cinque degli omicidi commessi. I dialoghi con Virgilio sono tutti fuori campo e sembrano una lunga seduta psicanalitica in cui Jack  alterna pensieri tra pura follia e approfondite spiegazioni. Il loro dialogo è  un viaggio dantesco al rovescio in cui la meta finale non è il Paradiso, ma l’Inferno.

Per Jack ogni omicidio è un’opera d’arte il cui compimento deve rappresentare la perfezione assoluta sia nella forma che nella materia. Gli omicidi sono il mezzo e l’ispirazione per realizzare la sua opera d’arte assoluta, una casa da costruire su un terreno lasciato in eredità dalla famiglia (il titolo originale del film infatti è The house that Jack built) che però non vedrà mai la completa realizzazione. “Jack è un artista fallito perché gli manca completamente l’empatica con il mondo – ha spiegato l’attore americano -. Non ho accettato di girare il film per il tema, perché sapevo che non sarei riuscito sempre a mantenere le distanze dal personaggio, ma per il regista perché sapevo che lavorare con Lars Von Trier sarebbe stato un lavoro pieno di sfide”. Dillon ha raccontato di aver interpretato il ruolo di Jack senza aver mai provato. “Lars mi diceva di tenere a mente solo la conversazione con Virgilio e, come suggerisce un detto danese, di mantenere sempre le cose incasinate. Lars era interessato ai personaggi e lo si vede anche da montaggio che ha un’impostazione molto emotiva”.

La regia è basata su numerosi dettagli e primi piani, ma il montaggio alterna inquadrature del film a immagini di pellicole in bianco e nero oppure opere d’arte di differenti stili ed epoche: l’arte gotica (la perfezione delle volte a botte delle cattedrali gotiche rappresentano il lato più strutturato e “ingegneristico” dell’omicidio) e quella rinascimentale (la Venere del Botticelli) fino a citazioni più contemporanee come quelle che visivamente ricordano le video-opere di Bill Viola (ad esempio nell’inquadratura in cui Jack e Virgilio vengono traghettati verso l’Inferno che richiama La barca di Dante di Eugène Delacroix).

La casa di Jack  è un film in cui il regista esalta fino al limite della sopportazione il suo gusto per i dettagli più cruenti, di quelli che ti fanno mettere la mano davanti agli occhi per non guardare. Ma che Lars Von Trier fosse di quei registi che forse fanno film più affrontare le proprie ossessioni che per piacere al pubblico già lo sapevamo. “Quando ho chiesto a Lars perché voleva fare questo film – ha spiegato Matt Dillon – lui mi ha risposto che Jack era il personaggio più simile a lui, con la differenza che Lars non è un omicida!” ha chiosato divertito l’attore. Negli Stati Uniti sono uscite diverse versioni del film. In Italia invece si attende ancora il visto censura e quindi non si sa quale versione uscirà nelle sale. “Non sono un fan della censura, anche se ammetto che in questo film ci sono scene molto difficili. La verità però è che se accendi la tv vedi cose terribili, molto più brutali di quelle che sono raccontate nel film.  Questo film deve essere masticato e digerito prima di essere giudicato” ha concluso Matt Dillon la cui interpretazione nei panni di Jack è, secondo noi, davvero magistrale.

Marianna Dell’Aquila

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