Autonomie regionali: opportunità o secessione? L’analisi di Viesti in 55 pagine

by redazione

“Verso la secessione dei ricchi? Autonomie regionali e unità nazionale”.

Si chiama così il pamphlet appena pubblicato, gratuito scaricabile di Gianfranco Viesti edito da Laterza, con un chiaro orientamento contrario alle autonomie di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Il tema è caldo e controverso. Alcuni meridionalisti sostengono che dalle autonomie potrebbe derivare anche un vero riscatto del Sud. Altri invece stigmatizzano la volontà delle regioni ricche del Paese. Con l’autonomia realizzerebbero la secessione tanta voluta dalla prima Lega.

Il 17 febbraio 2015 il Consiglio Regionale della Lombardia ha impegnato il Presidente ad indire un referendum consultivo sull’attribuzione alla regione di maggiori condizioni di autonomia. Il referendum si è tenuto nello stesso giorno di quello del Veneto, sul quesito: “Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per chiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?”. Ha votato il 38,3% degli aventi diritto, il 95% dei quali (2.875.000 elettori) per il sì.

In Italia il ruolo di Regioni ed Enti Locali è rilevante; il grado di decentramento è intorno al 30%, su livelli pari a Olanda e Polonia, inferiori rispetto a Belgio, Germania e Spagna ma superiori a Francia e Regno Unito. Se si esclude la previdenza, i governi regionali e locali italiani realizzano circa metà della spesa pubblica complessiva. Nel decennio 1995-2006 il grado di decentramento in Italia è aumentato di cinque punti percentuali (ed è fortemente aumentata l’autonomia tributaria), mentre nella media europea è rimasto stabile: è diminuito in alcuni paesi, cresciuto in altri. Rispetto agli altri paesi, in Italia il peso dei governi sub-nazionali è particolarmente alto nella sanità e nella protezione ambientale, su livelli intermedi per gli “affari economici” e l’urbanistica e più basso della media per l’istruzione, la cultura, l’ordine pubblico e la protezione sociale. In particolare all’interno dei bilanci delle Regioni italiane è preponderante la spesa sanitaria, che supera i tre quarti del totale.

Vi è una prevalenza di studi che mostrano come il decentramento, soprattutto se particolarmente ampio, possa favorire processi di divergenza economica fra i diversi territori all’interno di un paese. I risultati sono diversi da caso a caso; ma certamente l’evidenza disponibile non consente di sostenere, al contrario, che un maggiore decentramento favorisce la convergenza economica fra le regioni. Vi sono naturalmente, anche motivi di carattere non economico contro un eccessivo decentramento; un esempio, importantissimo, fra tanti: il ruolo che il sistema nazionale dell’istruzione assume nella formazione della cittadinanza. Vi sono pro e contro. Non esiste un grado di decentramento ottimale, in teoria e per ogni circostanza; non è possibile sostenere che un maggiore decentramento sia sempre e comunque preferibile. In un paese assai differenziato per storia e realtà locali e regionali come l’Italia, ma anche così dispari nei livelli di reddito fra le sue comunità, le scelte relative al decentramento, i loro possibili costi e benefici, non possono che essere attentamente ponderati.

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