“Il colore delle cose fragili” di Cristina Carlà: le parole sono pezzi di vetro che raccontano le donne

by Paola Manno

Nella prefazione de “Il colore delle cose fragili”(edizioni Collettiva, giugno 2019), l’autrice, Cristina Carlà, dichiara: “la fragilità non è qualcosa di cui vergognarsi, una forma di debolezza che ci rende peggiori. Indifesi. È piuttosto la nota più raffinata e più nobile di umanità (…) siamo tutti la stessa cosa, tutti dentro una fragile pelle”.

Eppure nelle pagine di questa giovane autrice, di cose fragili ne trovo ben poche. Forti le immagini che traccia, vigorose le frasi, colme di vita le sensazioni che trasmette, determinata la scelta delle parole. Io leggo, in questo libro che è insieme versi e prosa, molto coraggio, moltissima coscienza di sé. Per questo penso che la fragilità di cui l’autrice parla sia lontana mille miglia da qualsiasi forma di debolezza, ma piuttosto che abbia a che fare con l’ostinazione, con il “nonostante”, e anzi sia forse proprio il coraggio di fare: amare nonostante la paura, credere in se stessa nonostante il dolore e soprattutto scrivere, nonostante tutto.

Allora, forse, davvero le parole di Cristina sono pezzi di vetro che raccontano la sua vita e quella delle donne –ci assomigliamo così tanto, a volte!- che si riconoscono facilmente nelle parole dell’autrice che scrive soprattutto del suo essere donna, scrittrice, amica, amante, madre, senza dimenticare la bicicletta che racconta la sua infanzia, la prima parte di sé :  Non ho niente di niente eppure non mi manca niente; mi basta una bicicletta per essere bambina.

Ecco, qualcosa di molto oltre la fragilità, io leggo in quest’opera. C’è un pezzo che si intitola Dysphorica in cui il tormento la fa da padrone, in cui Cristina dondola tra la rabbia e il peso della responsabilità di essere madre (Mi piacerebbe così tanto addormentarmi, addormentarmi per sempre e non svegliarmi più. Mai più. Eppure non posso. Io non posso morire perché lui ha bisogno di me. Capite? Lui ha bisogno di me e io non posso nemmeno permettermi di morire) cedendo al lassismo, alla stanchezza di vivere (Lasciatemi in questa stanza, tornerà tutto come prima), che mi ha ricordato i versi  “Lasciatemi cosi, / come una/ cosa /posata/ in un/ angolo/ e dimenticata” ( Natale, G. Ungaretti).

Eppure Dysphorica si conclude con una ripetizione, quasi una litania E alla fine sopravvivo. Sempre. Come nelle peggiori maledizioni. Sopravvivo. E di seguito il brano che già dal titolo urla “Ma io invece sono viva!”: Mia madre mi vorrebbe morta. Ma io invece sono viva. Sono viva. Sono viva.

Il libro

Poi ci sono le immagini, tratteggiate, ma intense: Delle fresie gialle son nate da sole tra i cocci di vecchie caffettiere: si fa a meno, a volte, di dover capire per forza il motivo delle cose. Io lo sento, l’odore delle fresie, l’odore del caffè che resta sempre attaccato alla caffettiera, anche quando non la si usa più, l’odore della terra e l’odore del sud, l’odore di un fiore che vuole nascere, perché è l’unica cosa da fare, anche se non c’è un perché, anche in mezzo alle rovine delle nostre esistenze, nonostante il passato, nonostante la fatica, una fresia come il fiore di Guernica.

E poi le descrizioni delle persone, anche queste tratteggiate, lasciate svolazzare tra i pensieri di chi legge che può farle facilmente sue: La Lucy non porta mai gli occhiali da sole, dice che le stanno antipatici, che falsano i colori e la confondono.

Mi sono molto divertita a leggere la lista delle cose “che di me ti rimangono”, dopo la fine di una storia, nonostante una gravidanza: Anna è il segno che non doveva finire. E che io non sono finita. Senza te.  Ancora, nonostante tutto, io sopravvivo, io sono viva, io vivo, perché Cristina è mille donne insieme.

E ancora, infine, il rapporto con la scrittura, che a volte è limpida e diretta, a volte raffinata (la bellezza suona il violino/con gli occhi di rima socchiusi./Ti abbraccia da dietro/ha le orecchie appuntite). Ecco, la scrittura è probabilmente l’elemento dirompente de “Il colore delle cose fragili”: qui sta il talento, qui sta l’orgoglio, qui sta la potenza: Io sono ossessionata da voi: questa è la verità, sono ossessionata dal modo in cui respirate la notte, dalle smorfie che fate con la bocca quando vi vergognate e da quanti anelli portate alle dita. (…) Le storie. Le vostre storie. (…)La verità è che l’inchiostro mi fa sentire onnipotente, onnipresente sul palcoscenico di questo teatrino di cui voi siete i protagonisti inconsapevoli.

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