Il tatuatore di Auschwitz, l’amore segreto tra Lale e Gita

by redazione
Tatuatore-Auschwitz

È una lettura significativa per prepararsi alla Giornata della Memoria quella de “Il tatuatore di Auschwitz. Non esiste luogo in cui l’amore non possa vincere” di Heather Morris edito per Garzanti nel 2018.

Ludwig «Lale» Eisenberg nato da genitori ebrei in Slovacchia nel 1916, è stato il «tatuatore di Auschwitz». Fu lui, 50 anni dopo negli anni 80, a raccontare come incise un numero sulle braccia di chi sarebbe morto in una camera a gas.

Lale nel romanzo incrocia due occhi che in quel mondo senza colori nascondono un intero arcobaleno. Il suo nome è Gita. Gita diventa la sua luce nel buio infinito del campo. I piccoli momenti rubati a quella assurda quotidianità li avvicinano.

La narrazione comincia nell’aprile 1942

Ecco l’incipit del libro.

Il treno attraversa la campagna sferragliando, Lale tiene la testa alta e sta sulle sue. Il venticinquenne non vede motivo di attaccare bottone con l’uomo seduto accanto a lui, che ogni tanto si appisola sulla sua spalla. Lale non lo spinge via. È soltanto uno degli innumerevoli giovani stipati nei vagoni destinati a trasportare il bestiame. Non avendo idea di dove fossero diretti, Lale ha indossato i suoi abiti consueti: un completo stirato, una camicia bianca pulita e la cravatta. “Vestiti sempre per fare bella figura”.

Cerca di misurare lo spazio in cui è recluso. Il vagone è largo circa due metri e mezzo, ma non vedendo il fondo sa valutarne la lunghezza. Tenta di contare gli uomini in viaggio con lui; con tante teste che ciondolano su e giù, però alla fine rinuncia. Gli fanno male la schiena e le gambe, gli prude la faccia. La barba ispida gli ricorda che non fa il bagno da quando è salito a bordo due giorni prima. Si sente sempre meno se stesso. Quando gli altri tentano di coinvolgerlo in una conversazione, lui risponde con parole d’incoraggiamento e cerca di trasformare la loro paura in speranza. “Siamo nella merda, ma non affoghiamoci dentro”. Qualcuno mormora commenti ingiuriosi sul suo aspetto e sul suo modo di fare. Lo accusano di provenire da una classe agiata. “E adesso guarda un po’ che fine hai fatto”.

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