Intervista a Gianfranco Viesti. “Con l’autonomia rafforzata avremmo l’Italia di Arlecchino”

by Ines Pierucci
Gianfranco-Viesti-Future-Forum-Udine

Che cosa accade quando un Governo investe solo su una parte del Paese trascurando il resto?

La guerra tra Nord e Sud è figlia di un passato lontano ma che puntualmente ritorna se la visione miope della politica rischia di danneggiare lo sviluppo e il futuro di intere generazioni.
Non sono lontani gli anni del federalismo invocato dalla Lega di Umberto Bossi e di quando venivamo chiamati terroni; quando non si poteva viaggiare senza incontrare qualche esaltato che, scoperta la provenienza dal Sud Italia dei viaggiatori attraverso la targa delle auto, provocasse qualche rissa negli autogrill delle autostrade; quando si assisteva ad episodi di discriminazione, sui vagoni dei treni o ai sorrisini degli albergatori alla vista della città di nascita sulla carta di identità.

Ancora oggi non è difficile incontrare meridionali che, per farsi accettare, assumono l’accento settentrionale dopo una settimana di trasferimento per lavoro al Nord.

Tutto è ricominciato nel 2014 quando il Veneto e di seguito la Lombardia e l’Emilia Romagna, in una silenziosa cornice storica che risale ad una revisione costituzionale del 2001 in cui fu introdotta la possibilità per le regioni di richiedere ulteriori competenze, hanno indetto un referendum per richiedere il decentramento dei poteri pubblici verso le proprie regioni su svariate materie di competenza statale come l’istruzione, l’immigrazione, la sanità, la protezione civile, le infrastrutture e tante altri settori di competenza nazionale (l’elenco è molto lungo).

Sulle questioni attorno alle legittime ma pur sempre delicate autonomie regionali la grandissima maggioranza dei cittadini italiani è poco informata, così tra le tante battaglie intellettuali che Gianfranco Viesti combatte da sempre per l’unità del Paese e per sfatare il mito del Mezzogiorno come luogo di sprechi, è appena stato pubblicato il suo ultimo libro “Verso la secessione dei ricchi”. Autonomie regionali e unità nazionale”, (scaricabile gratuitamente dal sito della casa editrice Laterza) preceduto da una petizione -che ha raccolto 57mila firme- sui i rischi dell’Autonomia.

Il professor Viesti nel suo libro mette subito in chiaro i pro e i contro: “Il decentramento dei poteri se da un lato potrebbe consentire forme di “competizione virtuosa” fra le Regioni, e una maggiore efficienza dell’azione pubblica dall’altro, trasferire alle regioni servizi a forte contenuto redistributivo come sanità e istruzione, può determinare forme di iniquità fra cittadini, nonché favorire processi di divergenza economica fra i diversi territori all’interno di un paese.”

L’esempio eclatante è rappresentato dalla Regione Veneto che, alla richiesta di  maggiori poteri e risorse, ha aggiunto la proposta di calcolare i fabbisogni standard della popolazione, su cui basare la spesa che lo stato trasferisce alle regioni, in proporzione alla ricchezza e al gettito fiscale che produce il territorio.

“Ma le regioni a più alto reddito, continua Viesti nel suo libro, trattengono una parte maggiore delle tasse raccolte nel proprio territorio, sottraendola alla fiscalità nazionale; creando, dunque, una vera e propria secessione dei ricchi.”

Prima dei fabbisogni standard inoltre è necessario definire i Livelli Essenziali delle Prestazione sociali e civili, che la Costituzione prevede che debbano essere garantiti in misura omogenea a tutti i cittadini italiani, ovunque residenti.

E a seguito del dibattito, adesso nuovamente affievolito, gli abbiamo chiesto di spiegarci che cos’è l’autonomia delle regioni e perché rappresenta un danno ai diritti delle persone su diversi fronti.

L’autonomia  regionale c’è già ed è positiva se motivata ma alcune regioni vogliono esercitare delle differenze; ma anche questa non sarebbe una tragedia se fatta con cura: per ogni competenza va verificato l’impatto sule regione e vanno bene intese le norme.

Quello di cui stiamo parlando, invece, è un processo politico cominciato dalle regioni Veneto e Lombardia che chiedono sia le competenze sia maggiori risorse sul loro territorio rispetto a quello che lo Stato spende.

E’ un problema serio perché toccando gli ambiti di funzione pubblica cambia il funzionamento del paese. Queste regioni puntano ad ottenere maggiori finanziamenti ed essendo questi sempre gli stesse per tutto il Paese, automaticamente vengono tolti ad altri.

Ciò che è possibile fare è che una regione individui un tema e ne chieda  l’autonomia giustificandola con specifici fabbisogni; invece Lombardia e Veneto chiedono autonomia su tutto, dalla previdenza alla sanità, dall’istruzione al demanio, ecco perché è un’iniziativa di carattere politico e non una efficace azione pubblica.

Questo progetto politico è un problema per tutti gli italiani perché non è detto che sia un bene anche per i cittadini di quelle regioni.

Cosa è accaduto il 15 febbraio Professore?

Sappiamo cosa non è accaduto, ovvero che il Consiglio dei Ministri non  ha approvato l’accordo con queste regioni. Quello che è accaduto non è chiaro e probabilmente ha a che fare con il fatto che le intese non erano pronte anche perché il M5S è contrario all’autonomia in questi termini. Una seconda ipotesi è che ci sia stata una frenata di carattere politico. Il quadro è totalmente confuso.

Cosa ne pensa della proposta di Zaia sull’autonomia rafforzata di tutte le regioni?
Peggio che andar di notte, significherebbe la fine totale dello Stato, diventerebbe l’Italia di Arlecchino perché ogni regione farebbe le sue norme. Inoltre è anticostituzionale perché cambiare le competenze significherebbe cambiare l’articolo 117 della Costituzione. Verrebbe meno il ruolo dello Stato, a svantaggio di tutti.


Questa settimana si è riunita in Puglia un’apposita Commissione Regionale e la prima audizione è stata dedicata alle Professioni Sanitarie; è emersa la forte preoccupazione del settore che prevede il pericolo di consolidare e incrementare le diversità che già sussistono nei vari Servizi Sanitari Regionali. Le prossime audizioni riguarderanno Scuola, Ricerca e Infrastrutture. Quale ritiene essere, per la Puglia, il comparto più a rischio e che sarebbe maggiormente penalizzato?

Quello che può accadere in Puglia può accadere in tutte le altre regioni perché andrebbe a creare un precedente. In Puglia il reddito è il più basso di quello medio nazionale e al tempo stesso avere un’organizzazione delle risorse pubbliche residuale sarebbe peggio. Se ad esempio, in materia di istruzione, tutte le regioni secessioniste volessero fare i loro concorsi pubblici non ci sarebbero più concorsi nazionali e non sarebbe conveniente per nessuno perché si crea una crescente sperequazione nell’istruzione fra i giovani italiani; disparità negli aspetti normativi ed economici dei docenti; l’intrusione delle autorità regionali nelle finalità stesse della scuola, sviluppando, dunque, processi di divergenza economica fra i diversi territori all’interno di un paese.

L’elenco delle autonomie comprende talmente tante materie diverse che, in particolare, sulla sanità l’opinione è negativa sia perché si potrebbe produrre un ulteriore  spostamento di risorse ma anche perché il venire meno della cornice del servizio sanitario nazionale non è visto bene anche e soprattutto dagli stessi medici.

Insieme ad alcuni sostenitori della petizione siete stati a Montecitorio.

Siamo stati un’ora e mezza con Giuseppe Tesauro, Presidente Emerito della Corte Costituzionale, al quale abbiamo presentato la petizione con le 57mila firme chiedendo di prendere in considerazione i limiti dell’autonomia.

E poi siamo stati al Senato dove si è costituito un gruppo interparlamentare sulla procedura lanciato da LEU ma dove c’erano anche moltissimi del M5S. Questo gruppo è interessante perché una maggiore discussione parlamentare è necessaria vista la ampiezza delle materie. E’ impossibile che il parlamento possa approvare la maggioranza di queste richieste. Alla fine le intese che si potrebbero stabilire potrebbero essere più contenute rispetto a quelle attuali ma bisogna stare attenti e non accontentarsi di una via di mezzo, perché anche un’intesa ridotta sarebbe molto preoccupante.

Tutto questo ci insegna che la discriminazione tra Nord e Sud rischia di ripresentarsi come atteggiamento culturale, a danno del sud e quindi di tutto il paese, sotto altre forme come l’autonomia delle regioni. Un argomento apparentemente lontano dalle nostre vite quotidiane ma parecchio vicino se pensiamo che riguarda i nostri diritti e quelli dei nostri figli.

Gianfranco Viesti si occupa di economia inter- nazionale, industriale e regionale e di politica economica. Tra le sue più recenti pubblicazioni: Cacciaviti, robot e tablet. Come far ripartire le imprese (con D. Di Vico, Il Mulino 2014); Una nuova politica industriale in Italia (a cura di, con F. Onida, Passigli 2016); Università in declino. Un’indagine sugli atenei da Nord a Sud (a cura di, Donzelli 2016); Per l’industrializzazione del Mezzogiorno (a cura di, Luiss University Press 2017). Per Laterza è autore di Come nascono i distretti industriali (2000), Abolire il Mezzogiorno (2003), Mezzogiorno a tradimento (2009), “Il Sud vive sulle spalle dell’Italia che produce”. Falso! (2013); La laurea negata (2018).


Ines Pierucci

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