La grotta di Polifemo è a Roma e si chiama RAI

by Felice Sblendorio

“La Rai mi ha espulso come un corpo estraneo. Gli ultimi che sono entrati nella grotta romana di Polifemo per curargli la vista non ne sono usciti benissimo. Il gigante se li è mangiati e poi li ha sputati a pezzettini. Parola di pezzettino”.

Quando Carlo Verdelli è arrivato a Viale Mazzini, quartier generale di una delle poche mamme italiche rimaste in questo Paese, ovvero “Mamma Rai”, la voglia di cambiare e lavorare era più forte della paura di entrare nella “grotta di Polifemo”. Basterà poco più di un anno per far sfumare “l’amore più intenso e breve della vita” fra il giornalista milanese, da un mese alla direzione di Repubblica, e la Radio Televisione Italiana. L’avventura televisiva di Verdelli, primo direttore dell’offerta informativa del Servizio Pubblico, è raccontata in “Roma non Perdona. Come la politica si è ripresa la Rai” (Feltrinelli, pp. 219, € 17,00), memoir gustosissimo e narrativamente accattivante fra i corridoi delle sedi romane, i lavori e i livori, le lotte interne e la politica regnante alla corte della più grande azienda culturale italiana.

Il libro, pubblicato a distanza di due anni dalle dimissioni del 3 gennaio 2017 a seguito del fallimento del “piano Verdelli”, è un modo per raccontare un percorso di cambiamento della Rai che, come scrive l’autore, fra mille ostacoli e atti mancati è stata più un’illusione che un fallimento. Metafora lampante del Paese Italia, Verdelli racconta i passi di un ciclope gigantesco imprigionato nelle sue stanze del potere, nelle sue maniere di sistema, in quell’ottica macchinosa e poco versatile riflessa negli anfratti del passato che fa ancora oggi della Rai, secondo l’ex dirigente, “uno smartphone usato solamente per telefonare”.

Un viaggio senza precedenti nei corridoi di viale Mazzini e nel cuore pulsante di un’azienda imponente che conta 13mila dipendenti, 1729 giornalisti, 10 testate giornalistiche, 13 canali televisivi, 10 canali radio, 9 centri per le produzioni tv e 5 per quelle radiofoniche, 11 sedi di corrispondenza all’estero. Un patrimonio del Paese, finanziato e sostenuto per due terzi dai contribuenti, capace di poter fare tutto ma svantaggiato dalla lentezza in un mondo veloce: sulla rete la Rai è una comparsa, sui social è irrilevante. Primo grande problema.

Così, nell’epoca della rottamazione e del cambiamento possibile a tutto, l’ex premier Matteo Renzi coinvolge il servizio radiotelevisivo italiano in una delle sfide più mediatiche: rendere la Rai moderna, imparziale, accurata e contemporanea. Nomina il manager Antonio Campo Dall’Orto (il “Celeste” per Verdelli) come Direttore Generale: cambiamo canale, la rivoluzione può cominciare.

In pochi mesi eccolo lì, il Celeste si fa precedere da un messaggio: “Ciao, sono Antonio Campo Dall’Orto. Come forse saprai, mi occupo da qualche mese di Rai. Ti va di fare due chiacchiere?”. Verdelli accetta. Si vedono per la prima volta a Milano, appuntamento in una yogurteria (chiusa) in Corso Genova. Così optano per una camomilla in una pasticceria liberty: servirà calma e sangue freddo per dirla con Dirisio per i mesi che verranno.

Verdelli dopo poco è in Rai, matricola P953981, con il compito gravosissimo di riformare l’informazione del servizio pubblico: migliorare l’esistente (tv e radio) e creare l’inesistente (la rete). Può l’azienda con più giornalisti in Italia non avere una testata web unica? Può bastare nel mare magnum della rete il trentesimo posto nella classifica media per il sito di “Rai News24”? Evidentemente no.

Il “piano Verdelli”, preparato in fretta, non letto da nessuno integralmente e morto prima di nascere, aveva pecche e problemi, ma sicuramente sulla carta centrava l’obiettivo di riformulare l’offerta informativa in alcuni punti: ridurre l’esorbitante numero di edizioni del telegiornale (da 27 a 12), trasferire a Milano il tg2, varare un TgSud per il Mezzogiorno a Napoli, sostituire la pletora di sedi regionali (roccaforti dei partiti politici), introducendo la figura del redattore territoriale multimediale, con la creazione di Newsroom Italia e la fusione di TgR e RaiNews24 e la creazione della famigerata Rai24, app, portale e social concepito come sintesi di tutta l’informazione del Servizio Pubblico.

Lo sviluppo della realtà è cronaca nota: il piano Verdelli naufraga il 3 gennaio del 2017 dopo l’uscita parziale del testo su “L’Espresso”, Milena Gabanelli, chiamata a salvare il salvabile del piano di modernizzazione dell’informazione Rai dopo le dimissioni di Verdelli, lascia l’incarico causa impossibilità di produrre risultati apprezzabili, RaiPlay sul web l’unica vittoria di quell’esperimento monco prima della nuova dirigenza gialloverde con le edizioni dei tg aumentate, la pluralità traballante e la vecchia lottizzazione politica tornata in forma splendente. Nulla di più vecchio sotto il sole.

E la rivoluzione? Lontano miraggio. Per collegare i fili di questa rivoluzione mancata, in un libro che è sociologia pura dei vari esemplari umani che abitano la Rai, da Vespa che per una notizia “si butterebbe da un treno in corsa” ai ritratti poco benevoli dell’ex Presidente Maggioni, chiave di lettura indispensabile è il capitolo “A pranzo con Re Sole”. Re Sole, ovvero “l’umano così felice di essere se stesso”, è proprio Renzi, per Verdelli ideatore e distruttore di una vera riforma della Rai. I due si conoscono con il “Celeste” il 17 marzo del 2016 in una dimora (con giardino) di una Roma segreta: «Renzi si toglie la giacca blu, se la appende al dito indice dietro la spalla, slaccia i primi bottoni di una camicia molto bianca e ci mostra un po’ di petto: “Visto che abbronzatura?”. Fingiamo entrambi meraviglia. “E lo sapete dove l’ho presa? Lì, dietro quel muretto… Quando c’è questo bel sole mi faccio portare una sdraio e sto lì un’oretta tutto ignudo, solo con gli slip”».

Conclude questo capitolo formidabile un post scriptum: “Caro Matteo, a proposito di share e numeri televisivi. I dati della Rai che proprio tu avevi voluto non erano male, eppure dubito della tua estraneità circa l’espulsione di chi li aveva ottenuti. Forse, dico forse, l’hai addirittura incoraggiata, attribuendo al Servizio pubblico la colpa, tra le tante, di non aver fatto abbastanza per farti vincere quel maledetto referendum. È una cazzata, tra noi possiamo dircelo”. Forse è andata proprio così: quando il palazzo è in fibrillazione la Rai trema diventando più utile che indipendente in una Roma che domina tutti, anche il settimo piano di Viale Mazzini e il suo cactus fantasma. o

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