La mafia garganica in un romanzo, che delude le aspettative

by redazione

In attesa della udienza per l’omicidio dei fratelli Luciani, è stato pubblicato il primo tentativo editoriale di raccontare in modo organico la mafia garganica. Ma come per la prima udienza dell’omicidio di San Marco in Lamis, rinviata al 15 luglio, si tratta di un’attesa disattesa. Il libro “Ti mangio il cuore” di Carlo Bonini e Giuliano Foschini tradisce le aspettative, almeno di chi, come me, si aspettava un resoconto della mafia garganica, capace di scavare oltre l’efferatezza di una criminalità spavalda e irriguardosa, ma che amava muoversi su un tappeto di petali: tanto più erano atroci i delitti, tanto maggiore era il silenzio. Almeno fino al 9 agosto del 2017.

Quando lo Stato aveva capito che la mafia garganica non era questione di abigeato, spaccio e rapine, ma un sistema organico che stava mettendo radici non solo nelle campagne e nei boschi impenetrabili del Promontorio, ma nello stesso tessuto amministrativo. Stava, e in parte lo aveva già fatto, facendo un salto di qualità.Purtroppo, il libro “insegue” gli atti giudiziari, ma non scava, ad esempio, nei rapporti e nelle complicità tra la mafia locale e la classe dirigente in alcuni comuni, compresa la città capoluogo.Ha il pregio di rendere letteratura la violenza dei mafiosi garganici, come la faida tra i Tarantino e i Ciavarrella (e non Ciavarella come viene più volte riportato nel libro), descritta con grande efficacia e suggestione romanzata, ma evita di approfondire altri aspetti, forse più intriganti per mappare la ramificazione delle famiglie mafiose nel governo dei territori. Monte Sant’Angelo, Mattinata, Vieste, ma più recentemente Manfredonia e Cerignola avrebbero meritato maggiore spazio, provando a scavare laddove nessun cronista nostrano – se non per qualche articolo de L’Immediato – ha mai provato a fare, condannando il giornalismo della Daunia a megafono delle procure e dei mattinali delle forze dell’ordine. 

Non è che Bonini e Foschini, con il loro incedere descrittivo alla De Cataldo, facciano meglio dei colleghi della Capitanata, ma almeno ricostruiscono un contesto di grande suggestione poliziesca, anche se di nessuno effetto sulla capacità di andare oltre nel raccontare quello che già si conosce. In un certo modo, viene recuperata la tradizione giallistica di Alessandro Varaldo e Augusto De Angelis: ci sono una serie di delitti misteriosi e c’è il loro poliziotto di riferimento, Alfredo Fabbrocini, ma al di là dei pregi letterari, il resto appare scontato e decisamente orientato. In questo senso, il racconto di Bonini e Foschini mette un fondo tinta letterario alla bruttura criminale di gente che è stata opportunamente descritta, per mentalità di sopraffazione e spavalderia, più di un secolo e mezzo fa, negli atti della corte di appello di Trani, durante la repressione del brigantaggio. 

La mafia del Gargano è una forma di brigantaggio più organizzata e redditizia? Non direi. Caso mai è in parte ereditiera di quella mentalità, dove l’onore era combattere lo Stato e seminare terrore tra la popolazione. Eppoi il brigantaggio non ha mai avuto pentiti, mentre, come per la mafia, poteva godere su un’ampia connivenza e taciturna complicità, come avveniva con certi preti reazionari che, ieri come oggi, hanno preferito il silenzio alla denuncia. Manca, in questo senso, sul Gargano un prete protagonista, come nei racconti di Chesterton, mentre prolificano, protetti nelle sagrestie, i curati di manzoniana memoria. C’è un altro aspetto che riguarda la mafia garganica, la negazione di ogni evidenza. Qui esercitano incontrastati gli esperti della prestidigitazione, ci sono al momento del lutto, spariscono nell’ora di creare un baluardo anticrimine. Vale per gli amministratori, vale per gli imprenditori. Solo con il lavoro di alcuni magistrati e investigatori, gli omicidi sono stati messi in sequenza e ricostruiti seguendo un filo conduttore che non è solo quello della faida e del regolamento di conti tra famiglie rivali. La mafia del Gargano fa paura e i suoi metodi sono descritti con grande efficacia nel libro di Bonini e Foschini.

Ma questo racconto degli orrori appassiona per la capacità brutale dei suoi protagonisti, tant’è il libro diventa una mappa di luoghi delle stragi come se ci si trovasse in un immenso luna park, dove le “attrazioni” inventano nuovi numeri per tenere alta la tensione del pubblico.Il libro poi è una sorta di rilievo della scientifica, ma non ha un valore scientifico. Non è, per intenderci, un manuale alla Gigi Di Fiore, basato su una profonda e documentata storia dei gruppi criminali che hanno segnato le vicende garganiche e di buona parte della Provincia di Foggia.Insomma, il libro è riuscito sul piano della narrazione, ma lascia il vuoto che ha trovato, alimentato da una oleografia di pastori che si fanno la guerra per il controllo delle mandrie e dei pascoli. “Ti mangio il cuore”, ha un titolo ad effetto, ma l’effetto finisce alla copertina. 

Maurizio Tardio

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