“L’imperfezione rende l’amore perfetto”. Luca Trapanese parla di Alba, la sua vita

by Felice Sblendorio
Trapanese e Alba (foto)

Luca ha quarantadue anni. È gay, cattolico, si occupa di disabilità e desidera da tempo diventare padre. Alba è appena nata ed è sola nella sua culla. Abbandonata al suo mondo: è affetta dalla sindrome di Down.

In pochi giorni di vita ha già sopportato molti rifiuti: sette coppie hanno confermato il proprio no per la sua l’adozione. Alla fine qualcuno rompe più di un pregiudizio: Luca Trapanese è lì,  è pronto. Questa è la vita di Luca e Alba ed è la storia di “Nata per Te” (Einaudi Stile Libero, pp. 168, € 16,50), il libro scritto con Luca Mercadante che ha emozionato l’Italia intera, che arriverà in Capitanata domenica 17 febbraio 2019 alla Libreria Ubik di Foggia e alla Libreria Kublai di Lucera. In attesa dei due incontri, bonculture ha intervistato Luca Trapanese.

“Nata per te” è la storia di Alba e del desiderio di Luca di diventare padre. A che tipo di paternità ha pensato quando ha sentito questo bisogno?

Avevo voglia di diventare padre, di seminare in un’altra creatura il mio sapere, il mio amore, il mio affetto. Attualmente io mi sono dimenticato che Alba è stata adottata e per me non è un corpo estraneo”.

Mercadante le fa da contraltare, ricordandole quasi cinicamente che la sua non può e non potrà mai essere né una paternità biologica, né intellettiva…

Ovviamente io non sono per nulla d’accordo con quello che dice Luca. Il mio desiderio di paternità è un desiderio autenticamente biologico, quasi un orologio che alla soglia dei quarant’anni ha suonato forte dando spazio a questa mia urgenza. Luca nel corso del libro sostiene che io sarò funzionale a mia figlia rendendola felice, rimanendo molto perplesso sul contrario. Ma per me non è così”.

È proprio la disabilità a far scattare il timore. Non crede?

Certo, questo è un problema diffuso che molti hanno quando vedono un disabile. A me la disabilità non spaventa, la considero una ricchezza. Io la disabilità di mia figlia non la vedo, la supero. Tante persone come Luca, invece, rimangono bloccate dalla diversità. Se lui avesse avuto un figlio disabile, probabilmente, non l’avrebbe portato alla luce. Io, invece, me lo sono andato a cercare”.

L’affido e l’adozione non sono arrivati casualmente nella sua vita. Perché il desiderio di un figlio a quarant’anni in un tempo in cui i figli rappresentano quasi una minaccia per la libertà o per la carriera?

“Nessuna delle due per me, a quarant’anni perché sono figlio di una generazione che ha ritardato eccessivamente nel fare i figli. La mia è la prima generazione che ha più difficoltà a radicarsi, a realizzarsi, a creare una stabilità economica. L’orologio biologico sicuramente è in ritardo rispetto alle generazioni precedenti, però bisogna avere coraggio e mettere alla luce figli perché non possiamo continuare a parlare di libertà e, in nome di quella libertà, non avere alcuna responsabilità. A lungo andare diventeremo una generazione di persone sole, fragili nelle relazioni che, pur di seguire libertà e perfezione, accetteranno la disillusione come forma della propria esistenza”.

Sua figlia è arrivata nella sua vita prima con un affido temporaneo di tre mesi e poi con l’adozione definitiva. Non ha mai temuto di tornare a casa e vedere una culla vuota dopo questi mesi?

“Sì, ci ho pensato tutti i giorni. Fin quando non ho avuto il decreto definitivo per l’adozione, sono stato sempre sulle spine. Molto spesso l’affido non garantisce l’adozione, ma più il tempo passava e più si radicava un legame fra me e la bambina che sarebbe stato difficile da interrompere, se non per gravi motivi. Dall’altra parte mi sentivo forte e sereno perché sapevo, purtroppo, che nessuno si sarebbe svegliato con la voglia di adottare una bambina disabile. Anche oggi, dopo questa storia che ha avuto grande risonanza a livello nazionale, non c’è una corsa di coppie che vorrebbero adottare figli disabili”.

La legge che ha permesso ad Alba di diventare sua figlia riconosce ai single la possibilità di adottare soltanto minori affetti da qualche forma di disabilità. È una legge ingiusta?

“Io non credo sia ingiusta, credo che sia vecchia. Questa legge è stata fatta quando nella società italiana non c’erano altre prospettive che la famiglia e la coppia solida. Oggi, invece, molti sono i single che vorrebbero diventare genitori. Questa legge va contro la società che cambia”.

Se la legge è vecchia, è ipocrita il sentimento che appartiene a tutti noi. La sua storia è stata accettata perché ha adottato una bambina disabile rifiutata da sette coppie, non è così?

“Non posso negarlo: il fatto che tutti abbiano applaudito la mia storia è perché Alba ha la sindrome di Down ed è stata rifiutata da molte coppie. Ragionando nei campi dell’impossibile: se io avessi avuto l’opportunità di adottare una bambina normodotata, tanti avrebbero protestato. Il fatto che Alba sia stata rifiutata e che io abbia detto un sì incondizionato ha permesso che non si creassero delle inutili polemiche, certo”.

A proposito delle sette coppie che hanno rifiutato l’adozione di sua figlia: lei che lavora nell’ambito delle disabilità si è dato una spiegazione? Ci fa ancora paura la disabilità perché è lo specchio delle nostre imperfezioni, delle nostre inadeguatezze?

 “Io credo che ci sia una grande forma di impreparazione e ignoranza. Molto spesso si pensa alla sindrome di Down come una malattia e, invece, non è così. La disabilità è sicuramente lo specchio delle nostre imperfezioni ma è, soprattutto, lo specchio dell’inadeguatezza di società ancora troppo diffidente. Noi non sappiamo nulla di quelle sette coppie, ma già una coppia che si appresta all’adozione deve ammettere un fallimento, una sua disabilità. Scoprire, senza una preparazione giusta, che potrà sì adottare, ma una bambina disabile non sarà stata sicuramente una cosa semplicissima. Il vero no ad Alba è quello della nostra società: quelle sette coppie non vanno giudicate, ma andavano accompagnate, preparate”.

Lei è omosessuale e nel libro ha scritto che sua figlia non diventerà mai la pietra di scandalo dei prossimi Family Day e Gay Pride. Che cosa ne pensa di quel “Le famiglie arcobaleno non esistono” del Ministro per la Famiglia Fontana?

“In una frase: io e Alba siamo per la legge una famiglia. Punto”.

Esistete, quindi? 

L’Italia è quel Paese dove la società è da un lato e la politica è sul suo fronte opposto, però noi esistiamo, siamo una famiglia vera. Alba ha il mio cognome, mi chiama papà e mi riconosce come una figura educativa e affettiva fortissima. Fontana non approverà, ma io e mia figlia siamo una famiglia: quindi sì, esistiamo”.

Il mestiere di genitore è uno dei più complessi: chiederle che cosa diventerà sua figlia è inutile e presuntuoso. Cambiamo allora: come diventerà?

“Come diventerà? Vorrei che fosse felice, che si sentisse libera di esprimersi cosi com’è, di seguire quello che la renderà più serena e realizzata. Io sarò qui per questo, per far sì che lei si conosca bene”.

Lei ha scritto questo libro per comprendere che cosa dovrebbe essere un genitore. Sul chi poco importa, lo sappiamo. Ma su cosa deve essere, lei l’ha capito?

“Un genitore non deve comprimere tutto affinché il proprio figlio sia il primo. Un genitore deve vivere per vedere suo figlio felice. Ho capito che non dobbiamo avere l’arroganza di trasferire su di loro le nostre ansie e i nostri desideri. Il nostro compito è quello di ascoltare e accompagnare: un compito molto complesso”.  

Voi siete i due imperfetti di una storia felice. Per raggiungere l’amore perfetto servono proprio due imperfetti come voi?

“Tutti siamo imperfetti: la società ci costringe a sognare una perfezione che mai nessuno raggiungerà. Io allora mi sono detto: siamo molto imperfetti? Ok, ma siamo anche molto felici. Sono contento così. L’imperfezione mia e di Alba mi ha cambiato la vita. Mi ha davvero donato, e lo dico senza falsa retorica, un amore perfetto”.

by Felice Sblendorio

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