Le parole della Costituzione

by Ines Pierucci

Affinché il 90% delle persone alfabetizzate fosse in grado di conoscere il significato della Costituzione, sin dall’inizio, i padri costituenti condivisero che le parole con le quali doveva essere redatta dovevano essere piane e duttili. Un paese che uscito dalla guerra doveva essere solidale, devastato e da ricostruire.

Le parole della Costituzione non sono casuali, così come quelle di cui si parla nell’omonimo libro Treccani, presentato nella Biblioteca De Gemmis di Bari, grazie all’organizzazione dell’Associazione Presìdi del libro, rappresentata da Anna Maria Montinaro che ha introdotto l’iniziativa, moderata dalla giornalista Maddalena Tulanti.

“Sono parole che la Costituzione ha scolpito e attorno alla quale la comunità politica si riconosce” ha detto uno dei due autori del libro il Professore costituzionalista Gino Scaccia che ha scritto insieme a Massimo Bray, direttore dell’Istituto Italiano dell’Enciclopedia Treccani, nell’ambito di un progetto più ampio, con l’obiettivo di restituire dignità e significato al linguaggio prezioso che accompagna i diritti delle donne e degli uomini spesso violati.

I termini di una Costituzione, nonostante si candidino a rimanere a lungo nelle carte costituenti, se pensiamo che quella statunitense è rimasta in piedi 200 anni, cambiano perché si lasciano influenzare dai cambiamenti storico-politici di una società, nonché dalla sua cultura.

Ad esempio, l’articolo 3 stabilisce che “tutti i cittadini sono uguali senza distinzione di sesso”. Negli anni 50 il termine sesso aveva un solo significato, oggi nessuno è disposto a negare che nello stesso termine c’è il significato legato all’orientamento sessuale di una persona. La Costituzione dunque è prodotto della cultura.

Ma il libro, oltre alle scelte delle parole, mai casuali, affronta anche la preponderanza all’interno delle quasi diecimila parole che costruiscono la Costituzione. La libertà è un lemma che ricorre meno volte della parola lavoro, con la quale la Costituzione comincia. Articolo 1: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”.

La Costituzione sceglie con dovizia anche i predicati, infatti, quando dice che “la sovranità appartiene al popolo” il verbo appartenere non ha ambiguità giuridica.
Così come nella frase cardine dell’articolo 11: “l’Italia ripudia la guerra” il verbo ripudiare viene scelto appositamente per segnare uno stigma, una riprovazione morale. La guerra, dunque, genera un disprezzo morale non solo civile o di convenienza, che si potrebbe tradurre con la guerra fa schifo, è riprovevole.


Un altro esempio di apparente forzatura ma che rappresenta una scelta ben precisa è contenuta nell’articolo 4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Il pronome dimostrativo sottolinea l’importanza del diritto al lavoro.

La costituzione è il cuore pulsante che concorre a disegnare i valori di riferimento di una comunità. Nella selezione delle parole analizzate nel libro però “qualche parola è sfuggita -ammette il professor Scaccia- oggi, aggiungerei solidarietà o inviolabilità. E a proposito di quest’ultima, fino al secondo dopoguerra mondiale, la dottrina giuridica era stata modellata attorno al mito dello stato, tutti gli elementi costituitivi erano pezzetti rispetto alla totalità dello stato. Dinanzi alla prospettiva in cui lo stato era sopra l’uomo i diritti erano delle concessioni. Come l’atto con cui si riconosce un figlio, la Repubblica riconosce i diritti, per rendere felici gli uomini e le donne, che fino agli anni 60 erano pubblici e non soggettivi”. L’articolo 2 viene sancito per riconoscere e garantire questi diritti: “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”.

La perdita del valore dell’articolo 9, “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, secondo gli autori, è legata al paesaggio italiano diventato ormai isomorfo, l’uniformità del paesaggio ci ha trasformati in semplici e felici consumatori. Si tende a privare il territorio delle proprie peculiarità. Le strade principali delle città diventano tutte uguali con gli stessi negozi e i grandi marchi che le uniformano. Il paesaggio a cui fa riferimento la Costituzione è frutto dell’opera dell’uomo, c’è un contrasto tra patrimonio fisico e quello storico. “La parola cultura, non a caso, deriva da coltivare, lavorare la terra, dunque, il paesaggio –ricorda il professor Scaccia. La Costituzione vive soltanto se vive e viene fatta vivere ai cittadini ai quali è indirizzata, sembra che non riguardi la vita di tutti noi ma invece appartiene ai nostri diritti, alla sanità, alla famiglia, all’istruzione”:

“L’Istituto Treccani nasce grazie all’intuizione di Giovanni Gentile e a Giovanni Treccani –ricorda il direttore Massimo Bray- che nel 1925 si interrogavano sulle identità culturali e sul futuro di una classe dirigente. Nell’articolo 9 una delle identità principali è rappresentata dalla Cultura che, però, nel tempo, in questo paese è diventata una merce, c’è chi lo ha chiamato Petrolio. Il paesaggio italiano nasce nel rinascimento e vive attraverso i dipinti dei grandi artisti. Quando Aldo Moro diceva: “fate in modo che i vostri figli si riflettano in quel paesaggio” invitava a tutelare quel paesaggio ed era d’accordo con Calamandrei che allo stesso modo intendeva tutelare la Costituzione dicendo che non va solo manutenuta ma rispettata. La manutenzione da tutti i ministeri infatti è sparita perché non crea consenso”.

Marc Augè che studia i luoghi e non luoghi, ad esempio, identifica il paesaggio nei centri commerciali. Luoghi dove ormai le persone trascorrono la maggior parte del tempo libero.

Abbiamo perso i tratti più importanti della nostra cultura. Come le coste del nostro Paese che sono un bene di lusso e che per questo va consumato e non tutelato, mantenuto e rispettato. Ma il paesaggio non è un prodotto da sfruttare, infatti,  “le classi dirigenti dovrebbero riflettere sui pericoli che corriamo. La prima cosa che le classi dirigenti devono sapere che la casa comune va rispettata è tutelata”. Le parole di Papa Francesco Bergoglio a conclusione dell’incontro fanno riflettere perché molto simili alle raccomandazioni della Costituzione, le cui parole non hanno mai perso importanza e significato.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.