Nel territorio del diavolo, Antonio Monda racconta le suggestioni del male

by Claudia Pellicano

Nell’immaginario collettivo il “Boogie Man” è l’orco, il cattivo delle favole, il personaggio usato per spaventare e tenere a bada i bambini. Nessun folklore lo ha mai tratteggiato con le fattezze di un giovane dagli occhi penetranti che ama il blues e si esibisce al David Letterman Show.

Eppure in un documentario di qualche anno fa, Stefan Forbes intravede proprio in Lee Atwater, il fautore della vittoria presidenziale di George Bush padre, l’orco della politica americana.
Lee viene descritto come un personaggio pieno di contraddizioni, un ragazzo ambizioso col bisogno irrefrenabile di arrivare, di mostrare agli altri il proprio valore, e allo stesso tempo, un insicuro, un uomo afflitto dalla sindrome da impostore. Machiavelliano, spietato con chiunque, ma anche seduttivo, affabile, divertente, capace di utilizzare il proprio cinismo per anestetizzare l’elettorato sui fatti più crudi. Uno stratega abilissimo nello scorgere le debolezze altrui, nel capire il Paese, e nel comprendere quanto la percezione delle cose influisca sulla realtà.

Antonio Monda muove dai fatti di cronaca di una storia tragicamente vera per raccontare la sua New York, « la madre severa, ma che mantiene sempre le promesse», nel settimo libro della saga a ritmi alternati che attraversa tutto il Novecento.
George Bush, a metà della campagna elettorale, è in svantaggio clamoroso, e a tre mesi dalle elezioni, è indietro di 17 punti. Ha praticamente perso. A questo punto, cambia il suo consulente politico, e vince le elezioni. Come è possibile? Assume il più spregiudicato e diabolico, ma geniale spin doctor del mondo, Lee Atwater, e riesce a recuperare i 17 punti, e a vincerne altri 10, aggiudicandosi la vittoria in 40 Stati. I metodi di Atwater, che allestisce una vera e propria macchina del fango, sono aberranti, ma la sua abilità è indubbia. È consapevole che una narrazione ben riuscita valga più della verità. E che vince chi è più abile nel manipolare le notizie, chi racconta la storia migliore e, soprattutto, chi la racconta meglio.

La strategia di Atwater mira a rappresentare Dukakis come ipocrita, inetto, antipatriottico, in una campagna volta più a denigrare il candidato democratico che a promuovere Bush. Lo scopo è demolire l’immagine di uomo forte che Dukakis tenta disperatamente di darsi, infliggendogli una serie di colpi volti a umiliarlo pubblicamente.
Atwater ha il sopravvento grazie alla capacità di indebolire l’avversario, scavando nella sua vita personale alla ricerca di episodi compromettenti, o inventandone di non veri. Diffonde calunnie, che vanno comunque smentite, obbligando gli avversari a giocare in difesa.

La più clamorosa si avvale su un istituto di sondaggio fasullo, a cui dà il nome di “Solid News”, attraverso il quale sparge sospetti di pedofilia sul candidato. I potenziali elettori si trovano a rispondere a una serie di domande standard, che culminano nel quesito: «Se Dukakis fosse un pedofilo, lei lo voterebbe?». La strategia consente ad Atwater di mettere in cattiva luce e insinuare un dubbio orripilante su Dukakis senza incolparlo esplicitamente di pedofilia e senza incorrere in alcuna conseguenza legale. La voce è del tutto infondata, e tuttavia prende piede in parecchi ambienti – soltanto con questa mossa, il candidato democratico arretra di 4 punti.

La mossa successiva consiste nel rivolgere una delle scelte di Dukakis contro di lui. Convinto che la detenzione rappresenti un’occasione di riabilitazione, il governatore del Massachusetts firma un decreto in cui concede a chi è in carcere la possibilità di trascorrere alcuni fine-settimana a casa. Willie Horton, un detenuto di colore già condannato per omicidio, approfitta della libera uscita per aggredire una coppia di fidanzati  e stuprare la ragazza. Per essere completamente certo che questo episodio non passi sotto silenzio, Atwater realizza uno spot in cui i detenuti entrano ed escono di prigione attraverso una porta girevole. Tra di loro figura un uomo che assomiglia straordinariamente a Horton. Lo slogan, efficacissimo, recita: «Dukakis vuole fare all’America quello che ha fatto al Massachusetts, l’America non può permettersi questo rischio».

Questo fatto di cronaca agghiacciante e le successive speculazioni della strategia repubblicana sollevano polemiche enormi attorno alla questione razziale ma, di fatto, mettono definitivamente fine alla competizione elettorale.
Le pulsioni razziste, infatti, attecchiscono nell’elettorato a cui mira Atwater. Diventano centrali, determinanti, all’interno del dibattito. Atwater rigetta le accuse di razzismo, eppure è lo stesso Chuck Jackson, artista R&B di colore e amico personale dello spin doctor, a raccontare come Lee faccia parte di un sistema che odia i neri.

Da parte sua Dukakis offre, suo malgrado, il fianco ai suoi avversari. L’impeccabile, ma distaccata e mediaticamente disastrosa  risposta al cronista che gli chiede se avrebbe favorito la pena di morte nel caso sua moglie fosse stata stuprata e uccisa, assesta il colpo di grazia all’immagine del governatore.

Questi sono i fatti  a cui attinge Nel territorio del diavolo che, mescolando personaggi reali e immaginari, affronta il tema dell’ineluttabilità del male, e del timore che questo prevalga. Lo sfondo è dato dalla cronaca della politica americana, mentre la voce narrante del romanzo appartiene a un personaggio fittizio, Alexander Sarris, assistente di Lee Atwater.
Sarris è un giovane del tutto disaffezionato alla competizione elettorale, che viene cooptato proprio per questa sua mancanza di passione. Inoltre è greco, come il candidato democratico,  il che aiuta Lee ad entrare nella mentalità dell’avversario, e vive a Manhattan, una delle retroguardie liberali per eccellenza.

Alexander è un omossessuale, che prova, soprattutto all’inizio, vergogna per la propria omosessualità. Attraversa un dramma personale: il suo compagno, e molti dei suoi amici, sono  sieropositivi, in un momento storico che, anche a causa dell’insipienza del governo, vede la malattia divampare negli Stati Uniti. È inorridito e, allo stesso tempo, ammirato, dal lavoro di Atwater, è sensibile, ma incerto su tutto. La politica per lui «è un tritacarne, dove si sporca tutto, anche il più nobile degli ideali», eppure rappresenta ancora «l’illusione del possibile».

Il romanzo è pieno di suggestioni e citazioni che rimandano agli anni Ottanta. Sarris vede al cinema JFK, il mistero dei misteri della politica americana, e se ne entusiasma. Il suo compagno, meno colto, ma più intuitivo, lo porta a riflettere su quanto sia pervasiva la manipolazione di una narrazione.
Oliver Stone racconta l’uccisione di John F. Kennedy, sulla quale circolano tuttora le ipotesi più svariate, in un film straordinario, ma basato su delle premesse discutibili. La tesi, infatti, è che l’assassinio sia opera di un gruppo di persone diverse che vanno dagli esuli anticastristi cubani, alla mafia, all’FBI, e che Oswald fu “incastrato” da parte di petrolieri texani. Secondo Stone, la conseguenza logica è che il vicepresidente di allora, Lindon Johnson, fosse, se non complice, quantomeno a conoscenza dei fatti. Una tesi azzardata, ma che Stone costruisce in modo affascinante.

Nella saga di Antonio Monda, il cinema, come la boxe, rimangono protagonisti assoluti. Atwater porta Sarris a vedere l’incontro tra Tyson e Spinks perché gli sia di insegnamento. Lo sport è una metafora della competizione politica, dove vince chi ha l’istinto dell’assassino; la politica è un gioco in cui non si elargiscono medaglie d’argento, si vince e basta, non importa il metodo. E se non si intende rispondere con lo stesso metodo, si viene distrutti, come nel caso di Dukakis.
Eppure Atwater detesta lo sport. L’unica disciplina che lo appassiona è il wrestling,  la sola competizione onesta, essendo dichiaratamente una finzione. Intrattenere, distrarre, manipolare questo è quello che conta. Questo è quello che funziona. Sobillare le folle, come Al Pacino in Quel pomeriggio di un giorno da cani.

Sarris, che è turbato eroticamente dall’attore, ha l’occasione di vederlo interpretare Marco Antonio al Delacorte Theater. L’orazione funebre, un capolavoro di retorica, contiene due passaggi terribili: «Malanno, sei stato scatenato, prendi il corso che vuoi» e «Il male che gli uomini fanno sopravvive loro, il bene è spesso sepolto con le loro ossa». Alexander si chiede che fine abbia fatto il male inferto a Dukakis, se gli sia scivolato addosso o se riemergerà sotto qualche forma.

Monda racconta una storia avvincente e incredibilmente attuale sul potere e sulla fragilità della condizione umana. Su quanto la gloria, il successo, le vittorie siano illusori. Su come la vita non manchi mai di ricordarci quanto siamo vulnerabili, e che ogni singola scelta porta con sé un prezzo da pagare. La parabola di Atwater è tipicamente americana, è l’esemplificazione di un sogno, del desiderio di essere accettati, di arrivare, di vincere, a qualunque costo. Ma è anche il percorso di una possibile redenzione.
Subito dopo le elezioni Bush ricompensa il suo consulente nominandolo presidente del Comitato Nazionale Repubblicano, e rendendolo, in questo modo, l’uomo più potente degli Stati Uniti. Tre mesi dopo, un cancro inoperabile arresta irreparabilmente l’ascesa di Lee, che poche settimane prima di morire chiede perdono alle persone che ha rovinato. Si tratta di un autentico pentimento o dell’ennesima manipolazione? Il suo è un tentativo di riscatto o l’ultimo colpo di teatro di un genio della comunicazione? 

«Si vince solo se si riesce a lavorare nel territorio del diavolo», un luogo dove, scrive Flannery O’ Connor, il principe del mondo riesce a portare a termine molto lavoro prima che la grazia possa intervenire, prima che un colpo di scena del tutto inaspettato, eppure credibile, lasci il passo a un evento in cui lo stesso demonio si fa involontario strumento di grazia. Ma, prima della resurrezione, bisogna attraversare la passione.

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