Politica, comunicazione e marketing ad “alto volume” secondo l’anchorman Giorgino

by Felice Sblendorio

Conta più la rappresentazione pubblica nella sfera mediatica o la rappresentanza? Parte da questo diffuso interrogativo “Alto Volume” (Luiss University Press, pp. 200, € 18, 00), il nuovo libro di Francesco Giorgino, volto di punta del Tg1 delle ore 20.00 e professore alla Luiss “Guido Carli” di Roma e all’Università “Aldo Moro” di Bari.

Da tempo impegnato in attività di ricerca e osservazione sulle dinamiche corrispondenti fra comunicazione e politica, Giorgino ritorna in libreria con un saggio, prefato dallo storico Giovanni Orsina, molto utile in questo periodo per due preziosi piani di lettura: da una parte la ricostruzione teorica delle principali trasformazioni che hanno influenzato e trasformato il modo di fare politica in Occidente (la rivoluzione digitale, la società iperconnessa, la disintermediazione, i processi di globalizzazione, le fake-news), dall’altra un’analisi sui cambiamenti comunicativi dei principali attori politici italiani con riferimenti puntuali, ben argomentati e in grado di presentare una prospettiva quasi scevra da ogni condizionamento ideologico.

L’anchorman pugliese del Tg1 evidenzia già nel sottotitolo del libro tre parole centrali: politica, comunicazione e marketing. Un termine di associazione forte che spiega efficacemente il collasso del significato (la politica) nel significante (la comunicazione). Tema centrale nell’agenda pubblica, perché se non c’è attività umana, inclusa la politica, che possa sfuggire alle leggi della comunicazione come teorizzò Niklas Luhmann, è pur vero che la comunicazione si è trasformata da tecnica efficace di elaborazione di messaggi politici a vera e propria cultura politica di significazione.

Ma tutto ciò non basta. Giorgino racconta e analizza un passaggio ulteriore: quando la politica si è legata al marketing. Uno scenario vero, confermato dall’utilizzo di queste tecniche di marketing come base di partenza per la costruzione di strategie elettorali e di consenso: accontentare la domanda del cittadino, cercare di costruire politiche basate non tanto sul volere bensì sul non volere dell’elettore, polarizzare al massimo il giudizio su ogni possibile decisione, alimentare più la percezione che un disinteressato stato effettivo sulla realtà.

Modalità nuove che indeboliscono e comprimono il messaggio politico limitandolo al carisma del leader di weberiana memoria e alla capacità performativa e narrativa dello storytelling, pratica sempre più utilizzata come “interazione performante di idee che come confronto mediato”. Una vera e propria “teatralizzazione della politica”, come scrive nella prefazione Orsina, che ha portato alla riduzione della sfera pubblica in un teatro, luogo ideale per giudicare più le qualità delle proprie rappresentazioni che le soluzioni ai problemi reali.

Una mutazione imponente che, oltre ad aver cambiato la natura stessa della politica, ha lasciato spazio e terreno al populismo, illusione dell’idea di politica forte e assoluta, per Giorgino non fenomeno anti-politico ma un modo diverso di concepire la cosa pubblica.

Il populismo, però, come ha scritto il filosofo Ernesto Laclau, può essere usato in modi diversi, da destra a sinistra, per distruggere o costruire. Questa spazialità di metodo è data dalla sua categoria di riferimento: il popolo, categoria vuota e “costruibile”. Non è una classe che deve avere una base sociale ed economica e non è neppure una nazione che deve avere una base culturale. Il “popolo” è una categoria di aggregazione collettiva vuota che presuppone una costruzione attorno ad una domanda, un sentimento, una narrativa ideologica capace di unire rivendicazioni e interessi.

Presupposti ottimali che hanno portato alla costruzione di una politica vuota, autoreferenziale, banale nei suoi contenuti, appiattita su inutili logiche di autorappresentazione. Caratteristiche che Giorgino mette a confronto di modi diversi di “fare” come cambiare senza necessariamente demolire, utilizzare la comunicazione come un mezzo e non come un fine vacuo, gestire i processi con strumenti incentrati più sulle politiche che sulla politica e i politici.

Possibile, con queste accortezze, uscire da modelli comunicativi ad alto volume che hanno modificato il modo di governare la sfera pubblica mediata? Possibile coniugare maggior accessibilità dei cittadini ai temi politici, maggior pensiero critico e minor emotività ad una politica immersa nel magma del reale e non solo nella rete virtuale del web? Dilemmi.

Felice Sblendorio

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