Slow Journalism, a Mattinata Nalbone presenta la “nuova idea di comunità” per una informazione che ridà fiducia

by Antonella Soccio

“Nel momento in cui abbiamo iniziato a seguire la pubblicazione social abbiamo abbassato l’asticella minima della qualità, per inseguire la velocità non si verificano più i contenuti”.

Fake news, content factory, istantismo, giornalisti pagati 3 euro a lancio o 5 euro a pezzo, news come commodities indifferenziate e tutte uguali copia incollate, è stato un dibattito ampio il terzo appuntamento dell’edizione 2019 di PacificAzione, per il festival sulla legalità che ha già visto ospite Giuliano Foschini col suo “Ti mangio il cuore” e che ieri ha visto per protagonisti Daniele Nalbone co-autore insieme ad Alberto Puliafito del libro “Slow journalism. Chi ha ucciso il giornalismo?” edito da Fandango Libri e il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Puglia Piero Ricci, giornalista di Repubblica.

A Mattinata, Comune pugliese recentemente sciolto per mafia per le infiltrazioni e le pressioni subite dalla politica da parte di esponenti criminali e di famiglie che avevano letteralmente in mano il porto della farfalla del Gargano, il tema delle fake news è molto sentito, perché la comunità ha vissuto per due anni dentro la bolla mediatica: le notizie diffuse si son sì verificate vere e coerenti con l’assunto prefettizio, ma allo stesso tempo, a livello nazionale e locale, hanno creato in un paese di 6mila anime, un clima di sospetto e sfiducia.

Tutti viviamo oggi quello che Peter Laufer nel suo manifesto dello Slow Journalism, diventato il faro dei due autori, che dopo esperienze di primissimo piano nel web con Today.it e Blogo, hanno dato vita a due nuovi modelli giornalistici con https://www.ilsalto.net/Il Salto e Slow News, chiama “un assalto psicologico non necessario” che insegue “the fear of missing out”. Le persone sono bombardate da cattive notizie, dagli incidenti alle risse, che generano paura. Laddove invece sappiamo tutti che i reati sono in netto calo.

Ci sono esperienze in Europa e nel mondo di progetti giornalistici che hanno scelto di pubblicare meno e di interrompere “il rumore di fondo” delle notizie da cui quotidianamente siamo inondati e fagocitati. Dal sensazionalismo al fondativo per un giornalismo costruttivo è per esempio la missione di De Corrispondent. The last to break the news, è il claim di alcuni.

Non più di tre pezzi al giorno a portale è l’obbligo morale di chi fa informazione slow sul web. Si pubblica solo quando si è pronti. Uno o due pezzi buoni sulla carta quando l’argomento davvero merita, senza paginate senza senso utili solo a riempire spazi (con comunicati o “marchette” già letti altrove) per dare un contorno alla raccolta pubblicitaria.  

Nalbone e Puliafito sono partiti da una certezza, verificata negli anni intensi trascorsi nelle redazioni web di testate di primaria importanza: notizie e contenuti consumano il tempo delle persone. Un giornalismo lento è necessario. Buono, pulito e giusto. Come lo Slow Food.

Buono perché costruito con dedizione, verificando le fonti; pulito perché non viziato dall’ansia dei click, dato che i flussi di traffico sono anzitutto persone, o peggio ancora dalla propaganda; giusto perché attinente ai fatti, senza perdere però la propria porzione di verità, il proprio punto di vista, che nessuno può cancellare in nome di una presunta obiettività o neutralità.

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione (art. 21, 1°comma, Cost.)

E’ diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede. Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparati gli eventuali errori». [ ] Alberto Puliafito – Centrostudi Giornalismo e Comunicazione – Centro di documentazione giornalistica Art. 2 (Diritti e doveri) della legge professionale 69/1963

Nel corso della discussione il presidente dell’ordine Piero Ricci ha posto l’accento sull’importanza dei giornali cartacei e sui grossi gruppi editoriali italiani che già consentono, a suo avviso, lo slow journalism. Nel libro c’è una bellissima intervista a Mario Calabresi, ex direttore di Repubblica, concessa poco dopo il suo defenestramento. “Calabresi ha provato a spettinare il giornale, ma i lettori volevano Repubblica, volevano un giornale schierato che detta opinione”, ha spiegato Ricci, che ha non ci sta alle accuse di “gigantismo” nei confronti dei cartacei.

“Il web ci ha cambiato, l’errore fondamentale sta nell’aver dato gratuitamente 20 anni fa i nostri pezzi sulla rete”, è l’ammissione.

Chi ha ucciso o sta uccidendo il giornalismo? Secondo Nalbone, la velocità, la viralità e l’anonimato, tutti nemici dell’editing e della accuratezza di una notizia, per lo più confezionata in 20 minuti. Dalla selezione in rete, rimasticandola, alla scrittura fino al desk in pagina e alla pubblicazione con rimbalzo sui social.

“I lettori dovrebbero rifiutarsi di leggere un articolo firmato “redazione”, se il giornalista non ci mette la faccia quando pubblica il gattino significa che quel contenuto non è degno di essere letto. Dobbiamo recuperare la fiducia”.

Segnali che favoriscono le “fake news” sono la concomitanza con altre news vere, l’effetto emotivo del titolo e la verosimiglianza. Ma siamo davvero convinti che il pubblico, i lettori siano affamati di junk news?

È questa la sfida dello Slow Journalism, che insegue anche nuovi modelli di business, oggi sicuramente ancora utopistici per l’Italia, come il crownfounding, le community di lettori, gli eventi live sul modello di Internazionale a Ferrara, i pre abbonamenti a prodotti cartacei da spedire a casa.

Per Ricci la legge sul copyright, che invece Nalbone ritiene tardiva, è un primo passo per arginare lo stra dominio dei colossi del web Facebook e Google, che, vendendo dati, cosa impossibile per i giornali di carta e web, ormai succhiano la parte più corposa dei proventi pubblicitari in rete.

“Il giornalismo non è morto. Non morirà finché ci saranno notizie e storie da raccontare. Non morirà finché ci saranno persone che vorranno raccontarle e persone che vorranno leggerle, ascoltarle, vederle. Ce ne sarà sempre bisogno. E nei giornali locali si trova spesso più vita che mai, anche se con tutte le difficoltà che si possono immaginare…Fare Slow Journalism significa opporre all’individualismo, alla balcanizzazione delle relazioni, una nuova idea di comunità”.

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