Massimo Ranieri, l’artista istrionico stregherà Foggia coi suoi gesti teatrali

by Antonella Soccio

Chi ha qualche anno in più può forse affermare di non essere stato almeno un po’ ipnotizzato davanti alla Tv del Sanremo 1988 da quell’unico gesto teatrale con le dita, che spaccava una performance classicheggiante e sottolineava il verso “Perdere l’amore quando si fa sera, quando tra i capelli un po’ di argento li colora…quando sopra il viso c’è una ruga che non c’era”?

Da allora non c’è karaoke scalcinato di provincia che non si chiuda con “e adesso andate via, voglio restare solo” e non c’è nessun amante della canzone italiana e del bel canto che non replichi, prendendo a sassate il cielo magari senza sapere di Giorgio Caproni, quel gesto elegantissimo e profondo. Manierista e vero insieme.

La classe di Massimo Ranieri, al secolo Giovanni Calone, allievo di Giorgio Strehler, sarà in piazza a Foggia per la festa del 15 agosto, l’artista porterà nella Puglia Nord il suo spettacolo dalle quasi 500 repliche “Sogno e son desto”, uno spettacolo fortemente voluto dall’assessora alla Cultura Anna Paola Giuliani e dal sindaco Franco Landella suo ammiratore, che ha creduto negli anni, con Fausto Leali, Renzo Arbore e altri show, nel rilancio di una festività, quella dell’Assunta e del Galluccio, che non è mai morta nell’immaginario dei foggiani.

Lo spettacolo è una summa dei suoi più grandi successi, amati dal pubblico. Da Rose Rosse a Se bruciasse la città, con un profondo excursus nella canzone napoletana, di cui Ranieri è uno dei massimi interpreti contemporanei. Indimenticabili le sue versioni della Rumba degli scugnizzi o di Reginella.  

Tra canzoni e monologhi, nel recital Massimo Ranieri attraversa, oltre alla grande canzone napoletana, il suo amatissimo repertorio i brani dei più celebri cantautori italiani e internazionali, da Fabrizio De Andrè a Charles Aznavour. Lo spettacolo, dal titolo giocoso e provocatorio, è dedicato agli ultimi e ai sognatori.

“Sono gli scrittori e i poeti che ti indicano cos’è l’amore” dice Massimo Ranieri all’inizio di uno dei suoi ultimi spettacoli, lo strano Gabbiano di Cechov messo in scena da Giancarlo Sepe, nel quale canta Avec le temps on n’aime plus (Col tempo non si ama più) di Léo Ferré.

Ranieri è un artista immenso, istrionico. Nel 1970 già vince il “David di Donatello” ed il “Premio Internazionale della Critica” per il film “Metello” e poi il premio “La Maschera d’Argento”. Nel 1976 debutta come attore teatrale al “Festival dei due mondi” di Spoleto con uno spettacolo, tratto da due atti unici di Raffaele Viviani “Caffè di notte e giorno” e “Scalo marittimo”, che prende il titolo di “Napoli: chi resta e chi parte” per la regia di Giuseppe Patroni Griffi, suo altro grande maestro.

Ed in Puglia col Teatro Pubblico Pugliese in questi anni e anche a Foggia è stato ancora interprete delle poesie, parole e musiche del Teatro di Raffaele Viviani, in prova sul piroscafo Duilio in viaggio da Napoli a Buenos Aires nel 1929, con la regia di Maurizio Scaparro.

È del 1980, dopo il film stracult “La patata bollente”, l’incontro con Giorgio Strehler che gli ha cambiato la carriera: debutta al Teatro Comunale di Milano, al quale seguirà una tournèe europea, con lo spettacolo “L’anima buona di Sezuan” di Bertolt Brecht. Un incontro a cui è seguito tantissimo teatro, vestendo i panni di Pulcinella, Riccardo III e di moltissimi personaggi di Pirandello e ha anche dato vita forse al miglior Eduardo senza Eduardo. Meglio Ranieri o Toni Servillo? Difficile rispondere.

È stato anche la voce stupenda di Quasimodo nel film d’animazione Disney, “Il gobbo di Notre Dame”. E nel 2016 è stato al cinema un intensissimo Pier Paolo Pasolini ne La macchinazione.

Si spera che sul palco a Foggia, in Piazza Cavour possa cantare anche i pezzi dei suoi ultimi due album strepitosi jazz Malìa, nei quali interpreta i classici napoletani in chiave swing.

In una intervista recente si è detto assai vicino al personaggio de Il Gabbiano. Una perfetta identità fra la vita dell’artista e la sua opera.

“Gabbiano è teatro nel teatro, chi viene a teatro deve vedere lo spettacolo con la mia testa. Ci sono momenti drammatici, ci cala dal sorriso. Siamo malinconici, la stessa lacerante malinconia che hanno i russi, noi siamo come i russi”, ha detto.

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