84 gradini, il camaleontico Mortelliti scopre la famiglia del TdL

by Antonella Soccio
84 gradini

“Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino”: così scriveva Eugenio Montale, in un breve componimento, descrivendo il viaggio esistenziale con la sua compagna Mosca, “le sole vere pupille” tra i due.

La metafora delle scale torna, prepotente, in “84 gradini”, il sorprendente monologo scritto, diretto ed interpretato da Giuseppe Mortelliti, ospite lo scorso fine settimana in un Teatro dei Limoni gremito.

I premi

Insignito di riconoscimenti importanti (il Premio Special Off Roma Fringe Festival nel 2014 e il Premio Solo Performance San Diego Fringe Festival l’anno successivo), lo spettacolo è stato in scena due giorni.

L’intero teatro diventa pièce in una formula, in cui il pubblico è chiamato spesso ad interagire, mentre una vecchia sedia di legno con la targa “riservato” è posizionata nel corridoio centrale.

Semplici oggetti, protagonisti di un teatro povero fanno da sfondo ad una storia, quella di Fabrizio, che si snoda tra cubi colorati, sbarre di legno e pezzi di cartone che diventeranno, nel corso della storia, una serie di utensili tra cui si muovono persone: quelle che fanno parte della vita del protagonista.

Tanti personaggi, un unico attore

In un’ora scarsa si concentra una vita: 84 gradini. Quelli che Fabrizio percorre senza sosta, in modo frenetico e convulso. Un’interpretazione camaleontica che lo vede, in una corsa contro il tempo, attraversato dagli incontri-scontri con una serie di personaggi (il padre, la madre, Stefano, Francesca, il piccolo Augusto…) che il pubblico riesce a scorgere e a riconoscere nelle sue espressioni e nelle sue smorfie, nella modulazione della voce – che passa dal naso, alla gola, alla testa con estrema disinvoltura e naturalezza – nei luoghi che attraversa.

Un viaggio nello spazio e nel tempo scandito da 84 gradini, ripercorsi in una scalata frenetica, che Mortelliti comunica alla platea attraverso il linguaggio del corpo. Uno spettacolo in continuo movimento in assonanza con la sensazione difuga temporum che vuole comunicare.

Il tempo del’uomo postmoderno

La storia di un uomo che ha vissuto la sua esistenza senza avere il tempo di fermarsi tra paure, sogni, lutti e speranze, raccontata in un monologo denso e ironico che mette in scena l’essenza dell’uomo postmoderno, attraversato da quel senso di profonda inquietudine che lo soverchia e lo spinge ad andare oltre… persino oltre se stesso, trascendendo i confini delle sue consapevolezze.

Al ritmo dello spettacolo, che scandisce i tempi topici dell’ansia madre di questo secolo, contribuiscono le musiche di Francesco Leineri e le scenografie di Simone Martino.

Ogni gradino è un anno del protagonista, uno scoglio emotivo da superare, un insight valicato. Alcuni gradini passano velocissimi, altri sono momenti al buio, altri ancora tempo buttato al vento, dentro l’enigma di un dolore troppo forte.

Il successo al TdL

Lo spettacolo sorprende anche per la sua straordinaria verve fisica. Bonculture ha intervistato Giuseppe Mortelliti al termine della seconda replica su uno dei divani del foyer del Teatro dei Limoni diretto da Roberto Galano.

Quanto ti alleni per 84 gradini?

Lo spettacolo lo faccio da 5 anni, mi alleno quando recito, quando l’ho montato c’è stato un grosso allenamento.

Si sente molto l’influsso del Futurismo in alcuni gradini

Certe cose dei futuristi mi piacciono molto. Marinetti e Palazzeschi li amo molto, soprattutto nei loro giochi in rima, nelle filastrocche.

Come sei riuscito a legare ogni emozione esperienziale, scandita dai gradini e della vita “inscatolata”, dentro un preciso gesto fisico?

Teatralmente ho fatto molta formazione a livello fisico. Il mio approccio ad un testo è sempre fisico, riesco più difficilmente a trovare un’energia giusta se parto soltanto dalla voce o dal testo, devo partire sempre dal corpo. Ho lavorato tanto in Accademia Silvio D’Amico, ho capito che non c’è un’emozione che parte senza il corpo, a livello attoriale va sempre fatta partire dal gesto, dal movimento. Non riesco a fare un lavoro di testa.

Il rapporto col pubblico

Sul palco hai detto che a Foggia hai trovato un pubblico, che è quasi una famiglia. Il pubblico in questi anni che feedback ti ha fornito?

A Foggia ho trovato un pubblico molto allenato, ho avuto la sensazione che il pubblico venisse qui per fare una festa. In altri contesti, come a Roma da dove vengo, è molto più difficile perché è una città più stanca. Quando vai a teatro, senti l’effetto della routine: devo andare a teatro perché m’ha portato un amico, dopo una giornata di lavoro, devo attraversare la città per andare a teatro. Il pubblico spesso è già stanco, qui a Foggia al Teatro dei Limoni ho visto un pubblico, che è anzitutto una famiglia, come se tutti si conoscano. Le persone son venute a teatro per viver insieme una esperienza, per fare una cosa bella insieme. Mi piace poterlo dire, perché sono stato molto bene qui a Foggia.

Il pubblico negli anni ha cambiato molto lo spettacolo.

Ti sei accorto che alcune cose funzionavano meglio?

Sì, perché certe cose me le vivo io diversamente rispetto a 5 anni fa, come la parte finale o altri aspetti della vita di coppia.

Tu per primo vivi diversamente le emozioni di “alcuni gradini”?

Sì, alcune domande che mi facevo 5 anni fa su questo testo e avevo scritto questo testo appunto proprio perché c’erano quelle domande, hanno trovato una risposta. Devo lavorare di più per ritrovare l’emozione di 5 anni fa. Il pubblico cambia lo spettacolo perché partecipa in maniera diversa, ride in punti diversi di anno in anno.

L’improvvisazione

Ride di più al personaggio buffo del medico, visto che siamo in tempi antiscientisti?

Il medico è cresciuto molto in questi anni, parte da un’improvvisazione, da un canovaccio. È l’unica parte del testo non scritta e l’ho scritta col tempo insieme al pubblico. Ci sono dei momenti in cui parlo con le persone in prima fila, qui al Teatro dei Limoni ci sono state due persone clamorose. Sono cose che arricchiscono lo spettacolo di replica in replica.

Perché proprio 84 gradini? C’è un motivo dietro questo numero?

Sì, quando ho scritto questo spettacolo a Roma stavo a Montesacro che è una zona a diversi livelli e ci sono delle scalinate che portano da una parte all’altra. Io sono del 1984, mi ricordava anche Orwell, che cito nello spettacolo. Mi piaceva raccontare una storia cadenzata con i gradini. Sono del 1984 e avevo contato i gradini che mi portavano a casa sin lassù ed erano 84, poi in realtà quando ho scritto lo spettacolo li ho ricontati .

Ha collaborato Daniela Scopece

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