Barry Lyndon (Il creatore di sogni): per scoprire gli ingranaggi della macchina teatrale

by Gabriella Longo

Se il mito è qualcosa che resiste al tempo, e ad esso si adatta come il più duttile dei metalli, allora Barry Lyndon è di certo un mito: dalla penna di William Makepeace Tackeray, al celebre film di Stanley Kubrick, adesso è anche uno spettacolo teatrale diretto da Giancarlo Sepe, con il quale si chiude la stagione della Pergola di Firenze.

In effetti, il signor Redmond Barry di Barry du Barry (così si chiamava lo scaltro irlandese prima di acquisire il titolo di conte di Lyndon), è una figura che al teatro deve la sua stessa esistenza: d’ingannatori come lui se ne vedono dal Burlador de Sevilla (1625) di Tirso da Molina e dopo Tirso, si sa, questi sono diventati… miti.

Sepe sceglie, dunque, un personaggio che è per sua natura teatrale, un trasformista come lo voleva la tradizione, come lo era il burlador di Tirso: Barry è un irlandese appartenente ad una importante famiglia caduta in disgrazia, niente di più che un borghese campagnolo dunque, ma che riesce ad arruolarsi nell’esercito di Re Giorgio e a sposare una contessa. Sua madre, un po’ come la temibile Lady Machbeth di Shakespeare, gli aveva piantato dentro il seme della grandezza; così, vestendo almeno tre panni diversi, Redmond Barry divenne Barry Lyndon.

E Sepe non solo sceglie la via del teatro per far rivivere quel mito ancora una volta, ma rimarca gli artifici di cui il teatro stesso si serve: non una pièce naturalista, bensì un dramma pirandelliano. Cambi di costume in scena, e persino uno degli attori che scatta, con una macchinetta digitale, delle fotografie ai suoi colleghi sul palco, i quali però starebbero rappresentando una storia ambientata nel Settecento. E poi, lo stesso protagonista, che parla al pubblico come fosse in un cabaret, gli narra delle sue avventure e qualche volta le canta anche. Il teatro, però, restituisce il mito alla vita e al contempo lo sottrae ad essa, proprio per quella sua intrinseca duplice natura: Barry vive, ma è teatro allo stato puro e per questo un grandioso artificio. Le sue ambizioni non si scoprono che essere delle chimere nascoste nelle stelle, rappresentate da una misteriosa donna vestita di nero chiamata Claire, che appare al protagonista soltanto nelle ore più buie; ed ecco spiegato il sottotitolo della pièce di Sepe, Barry Lyndon (Il creatore di sogni). E anche i gendarmi dell’esercito di Giorgio, non sono che fantocci di carta mossi dagli attori (maschi e femmine, indistintamente) che non ci si preoccupa neppure di nascondere.

E poi c’è l’omaggio a Kubrick e a quella meravigliosa pellicola che non sarebbe sembrata un dipinto se non fosse stato per il Planar 50mm f/0,7, l’obiettivo che la Zeiss aveva concepito per la NASA. Memorabile è la scena della festa a casa della Contessa di Lyndon, durante la quale i volti dell’alta società radunata al tavolo delle carte venivano illuminati unicamente da lampade e fiammelle. Allo stesso modo Sepe (che ci ha ricondotti al film sin dall’inizio dello spettacolo mediante il riferimento sonoro alla Sarabanda di Händel), ripropone il medesimo quadro con l’utilizzo di una sola composizione di candele. “La luce, sempre!”, dice il regista circa il suo spettacolo, confermando la rilevanza che assume questo elemento nella storia di Barry: essa, assieme alle ombre, rappresenta il solo e unico modo di dare forma alle proiezioni dei suoi desideri, trasformando il racconto della sua vita nel più mesto degli incubi.

Regista prolifico e versatile, Giancarlo Sepe è una presenza costante al Teatro della Pergola fin dagli anni Settanta. Degli ultimi spettacoli al teatro fiorentino ricordiamo Un ispettore in casa Birling (2011), un composto di thriller e dramma borghese dell’inglese John Boynton Priestley, interpretato da attori dal calibro di Paolo Ferrari e Andrea Giordana. Nella stagione 2014/15 il regista casertano si confronta per la prima volta con la drammaturgia di George Bernard Shaw, nello specifico con il pungente La professione della signora Warren che affida al talento e all’esperienza di Giuliana Lojodice. La stagione scorsa abbiamo visto al Teatro Studio ‘Mila Pieralli’ di Scandicci il suo Amletò – Gravi incomprensioni all’Hotel du Nord, magistrale riscrittura dell’Amleto, opera visionaria, ricca di allusioni visive, di suggestioni sceniche ambientata nella Parigi degli anni Trenta, un omaggio al genio di Shakespeare e al film omonimo di Marcel Carnè.

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