La redenzione di Fronte del Porto scuote il Giordano

by Antonella Soccio
fronte del porto

La trasposizione napoletana dello sceneggiatore Enrico Iannello e del regista-scenografo Alessandro Gassman di “Fronte del Porto”, capolavoro cinematografico del realismo americano del 1954 di Elia Kazan su testo di Budd Schulberg, con un giovane e iconico Marlon Brando, fa quasi dimenticare l’originale Terrey Maloy e New York, tale è la forza del testo, della storia e dell’aderenza con la Napoli camorristica a cavallo tra anni Settanta e anni Ottanta.

Sul palco del Teatro Umberto Giordano, poi, le vicende e i dissidi interiori dell’ex pugile, Francesco Gargiulo, interpretato da Daniele Russo, dopo la settimana di bombe agli esercizi commerciali della città e l’omertà diffusa dei foggiani, sono un colpo d’attualità potente, che tocca il pubblico nel profondo.

Da New York a Napoli

“Per diventare santo qua, Don Bartolome’, dovete stare in mezzo alla strada, in mezzo ai morti, ‘nmiezo ‘a gente che sura e chiàgne”, dice nella seconda scena madre dello spettacolo, Erica (Francesca De Nicolais), la sorella di Peppe, il sindacalista anti camorra che lotta per i diritti sulle banchine del porto, fatto precipitare dal terrazzo. La scena si apre con quell’omicidio, il pubblico lo vede cadere giù, con una speciale proiezione. Per poi ritrovarlo steso sul palco.

Il protagonista Francesco Gargiulo, fratello del braccio destro del boss, all’inizio si rifiuta “di fare il cardellino”, di “cantare”, di “fare l’infame”. “Chiavete a leng ammocca”, è la minaccia dei malavitosi agli operai.

Ma l’amore e la “coscienza”, scoperta grazie ad Erica e a don Bartolomeo, portano l’ex pugile alla redenzione. La sua testimonianza resa alla sola voce del giudice, l’impassibile Alessandro Gassman che si regala un cameo sonoro, sfonda la quarta parete, che in Fronte del Porto non è soltanto una metafora teatrale, ma c’è davvero, perché è l’artificio e lo strumento scenico necessario per le proiezioni della magnifica scenografia immaginata dall’attore e regista romano.

È teatro, ma è come se fosse realtà. A Foggia, nella città senza pentiti di mafia, Francesco che confessa e denuncia, prima al prete e poi in Tribunale, ha un effetto dirompente. 

Fantastiche le architetture sceniche a forma di libro aperto, che supportano la recitazione dei 12 attori in scena e diventano prepotentemente i container del porto, i locali camorristici con la violenta musica di sottofondo, la chiesa della riunione sindacale, il porto di Napoli, col Vesuvio e Castel dell’Ovo, i terrazzi partenopei, il tetto dei “cardilli”. Le proiezioni sulla parete trasparente portano lo spettatore in riva al mare o dentro le diverse ambientazioni.

Sono tanti i dialoghi che restano nella memoria. A cominciare dall’autoanalisi di Francesco col fratello Carluccio, quando si libera della sua frustrazione di pugile fallito, piegato dalla volontà delle scommesse clandestine dei clan.

Il cast

Tutti bravissimi i ragazzi per la produzione di Fondazione Teatro di Napoli, Teatro Bellini e Teatro Stabile di Catania, che il Teatro Pubblico Pugliese aveva già sperimentato col precedente lavoro “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, considerato da molti il miglior spettacolo che abbia calcato le scene del Giordano dalla sua riapertura.

Daniele Russo, Antimo Casertano, Orlando Cinque, Sergio Del Prete, Francesca De Nicolais, Vincenzo Esposito, Ernesto Lama, Daniele Marino, Biagio Musella, Edoardo Sorgente, Pierluigi Tortora, Bruno Tràmice. Scenografie: Alessandro Gassmann. Costumi: Mariano Tufano. Disegno luci: Marco Palmieri. Videografie: Marco Schiavoni. Musiche: Pivio e Aldo De Scalzi. Sound designer: Alessio Foglia. Foto: Mario Spada.

Daniele Russo sconcerta all’inizio, con la sua recitazione a metà tra l’ingenuo, l’inebetito e il rassegnato. Nel corso dello spettacolo la sua trasformazione è fisica: il coraggio di denunciare cambia la postura e la voce del personaggio e l’attore rende la mutazione con grande maestria. Bravissimo anche Ernesto Lama nel ruolo del boss Gigino, un attore formidabile di cui si sentirà parlare ancora. “Niente pareggio, in coppa a ‘sta schedina non c’è il segno x” , è una delle sue tante massime di vita mafiosa. Si ammazza o si muore a propria volta.

Straordinaria la regia di Alessandro Gassmann, che mescola cinema e teatro, fino all’idea geniale di trasportare i titoli di coda come in un film alla fine dello spettacolo. Occhio di bue sul personaggio e proiezione del nome, nel mare losco, denso e speranzoso del porto di Napoli.

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