Visual, interpretazione e danza per inscenare i sentimenti di un “Feto”

by Fabrizio Stagnani

Fervente l’aria nel dietro le quinte del Teatro di Cagno, nel capoluogo pugliese, è qui che l’autrice e regista, Ilaria di Bari, parla della sua opera, “Feto”.

E’ il giorno della prima messa in scena, venerdì 15 marzo 2019, nel mentre che ballerini in calzamaglia sgambettano dietro un separè e l’altro e gli attori schiariscono la voce con i gorgheggi più arlecchineschi, lei timidamente inizia a parlare di se.

Artisticamente è cresciuta proprio in questo teatro, è da quando aveva quindici anni che ne sente scricchiolare il proscenio, da dieci ne hanno preso la gestione in famiglia, ora è neanche trentenne.

Ha fatto la gavetta vera, prima maschera in sala poi impiegata al botteghino, partita come operatrice del settore solo in un secondo momento ha sentito l’irrefrenabile bisogno di dare sfogo al personale istinto autorale. Ad interromperla, vestita di gala con uno sfavillante abito nero da sera, di tanto in tanto qualche amico che riesce ad intrufolarsi. l rito è quello di augurare tanta deiezione allo spettacolo, rifacendosi a quando a teatro ci si arrivava in carrozza e tanto più la strada era sporca dai prodotti del sottocoda dei cavalli tanto più voleva dire che gli incassi sarebbero andati bene.

“Ho amato il teatro da subito, ero piccolina e lo guardavo già in televisione. Poi una delle mie passioni è stato Vincenzo Salemme. Un idolo per me. Ha una comicità intelligente. Ha una forte integrità, è un uomo buono, dai valori ormai persi. Li porta sempre sul palco. Riesce, secondo me, a farti ridere portandoti anche a riflettere, con la semplicità.

Però non sembra che lo voglia emulare. Tu fai teatro sociale, empatico, emotivo, struggente.

Quella è la mia indole. Non so se potrò mai far ridere. Denuncio più che altro, a modo mio. Mi piace accendere i riflettori su quello che potremmo cambiare noi giovani. Credo che noi possiamo cambiare il mondo veramente.”

Nel frattempo il vociare dal foyer si sposta in sala e la platea si affolla. Sulla ribalta, posta davanti al sipario chiuso, solo una grande boccia di vetro piena d’acqua limpida.

“In scena ci saranno sei ballerine, per la coreografia di Floriana Giorgio, e quattro attori. Ognuno di questi ultimi rappresenterà una sfaccettatura dello stesso feto, il protagonista. Un personaggio che si divide in quattro. Anche chi danza interpreta il suo animo, ma in un altro modo.”

In genere si prende in considerazione l’innocenza di un bambino, tu sei voluta andare ancora più a monte?

E si, ancora più in dietro. Quando il feto è ancora solo anima. Quando ancora non si è formato completamente. Non sa quello che sarà, e critica fortemente quello che vede dall’esterno. Si, lui è come se fosse all’esterno del mondo. Vede quello che c’è, con occhio critico!”

Ma l’ecografia morfologica l’ha già fatta questo feto?

No, non si sa ancora se vuole essere donna, se vuole essere uomo o altro. Non si sa. Non importa ai fini della messa in scena.”

La seconda campanella richiama i restanti spettatori ancora all’esterno intenti a fumare le ultime boccate di sigaretta o quelli impegnati a mandare qualche altro messaggio su whatsapp dalle poltroncine nei pressi del ingresso squilla.

Visual, interpretazione, danza, hai bisogno di tutto questo insieme per esprimerti?

Si – compiaciuta – Ho necessità di utilizzare qualsiasi forma d’arte che a me piace. La voglio mettere in pratica nel mio piccolo. Mi serve la totalità dell’arte. Quello che non riesco ad inserire negli spettacoli sul palco, lo pratico nella mia vita quotidiana, come la pittura ad esempio. A maggio esporrò tre opere a Roma.”

Tanta analisi critica alla nostra società, ma c’è una nota positiva

Io credo nella maternità. Vorrei tanto diventare madre. Prima di arrivare a questo vorrei cambiare, nel mio piccolo, il mondo, nella mia quotidianità. Il mondo che ho trovato non mi è piaciuto. Spero che questo un giorno possa cambiare, ma anche grazie a me. Lo faccio piano piano, con le mie forze, con i miei mezzi, piccoli gesti. Quello che scrivo mi rispecchia completamente, io non scrivo finzione. E’ quello che penso realmente.”

Tre le campanelle nel foyer ad anticipare lo spegnimento delle luci in sala. Cala il silenzio, si apre il sipario. Scenografia minimalista. Oltre alla boccia che campeggia sempre li davanti, due teli rosei che scendono sino al pavimento e una grande cornice vuota.

In realtà anche di pittura ce n’è, ad inaugurare lo spettacolo il visual editato dalla Di Bari, in un angolo della scena la proiezione di due pennelli che spandono colori diversi, si rincorrono, si intrecciano, la rappresentazione di una copula. Si vira su immagini digitali, quasi mediche, un cellula uovo fecondata si adagia sul letto di un utero. A dare foce ai quattro attori, Anna GonnellaAntonio CarellaLeonardo PiccinniNicole Leo, saranno sempre fari ad occhio di bue. Il primo a parlare un gamete maschile, singolarmente interpretato da una donna, è lui che si interroga sulla volontà di dare volontà di dare vita ad una creatura. Il movimento scenico alterna i giovani protagonisti che, il più delle volte rivolgendosi alla futura madre, si pongono quesiti in merito a chi sarà in grado di difendere il feto dalle asprezze della vita, dove trovare la forza di accettare o cambiare pratiche disumane tra cui l’infibulazione o i piedi di loto delle donne cinesi, quali le conseguenze nel caso si dovesse nascere omosessuali, questi insieme a molti altri. Ad intervallare le dense battute colme di valori interventi di raffinata danza. Il finale è meglio non spoilerarlo, di certo, come si usa dire in maniera gergale nel barese, “non è dolce di sale”. Quel che si può anticipare è che una scelta e quella boccia di vetro colma di acqua limpida e cristallina che ha assistito a tutta la messa in scena dalla primissima fila sono il frutto e il luogo ove la vicenda si conclude.        

A chiudere la serata una battuta con l’artista Ilaria Di Bari. Quindi sei inevitabilmente una sentimentale?

“Sentimentale, si! – orgogliosa – E molto molto sensibile, si. E assolutamente non c’è nulla di cui vergognarsi per questo. E’ una forza non una debolezza.” 

Fabrizio Stagnani

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.