Catch 22, la miniserie sull’assurdità della guerra e del potere firmata da George Clooney

by Gabriella Longo

Fine della guerra, gli Alleati risalgono la Penisola. Quest’ultima ha l’aspetto di una vecchia cartolina ingiallita, complice la splendida fotografia color ocra di Martin Ruhe. Gli affari nei bordelli vanno alla grande, al fronte si mangia la cioccolata e, se si è fortunati, si beve persino il Campari Soda. Può capitare che le ragazze si innamorino degli stranieri in divisa, ma anche che questa sia la cosa più incantevole che possa accadere se, dall’altro lato della strada, c’è una bambina ridotta alla fame che vende cianfrusaglie – perché sa che quelli pagano bene. La radio di un campo suona Straighten Up and Fly Right di Nat King Cole, il mare di Pianosa è limpido e i costumi da bagno si portano a vita alta.

Si capisce in fretta perché il motto del Bel Paese sia l’ “arte dell’arrangiarsi”; lo dice Giancarlo Giannini, nei panni di un protettore che gestisce i suoi affari nella Capitale: troppo debole per stare in prima linea ma anche troppo debole per scendere ancora più in basso. È così che è restata a galla tanto a lungo.

Catch 22 non cavalca, però, alcun cliché, nemmeno quello di una ennesima bugiarda prospettiva americana della guerra. Diretta, prodotta e interpretata da George Clooney, la mini serie originale Sky in sei episodi ha alle spalle l’omonimo film di Mike Nichols del ’70 e prima ancora il romanzo antimilitarista di Joseph Heller, edito nel 1961. Ed è proprio prendendo le mosse rispettivamente dal romanzo e poi dal film che anche lo show per la televisione diviene «un’opera sulle assurdità della guerra e del potere», come ha detto lo stesso Clooney.

Non mancano effettivamente momenti di riso amaro, ma si sa, il revisionismo fatto dal cinema, dalla letteratura dai media, a proposito della guerra, sfrutta la sua altra faccia. E quindi…viva il witz. Effettivamente la guerra non sembra tanto diversa da una brutta freddura, da una battuta infelice o da un paradosso ben riuscito. E questo John “YoYo” Yossarin (Christopher Abbott) lo capisce prima degli altri, già da quando il tenente Scheisskopf (George Clooney) si inalbera perché i soldati americani non sanno tenere i gomiti a novanta gradi, o quando un suo compagno di nome e cognome “Maggiore” viene nominato maggiore di grado per uno stupido scherzo del destino. E sarà di certo Maggiore di nome, ma di fatto non sa nemmeno quali siano i compiti di un maggiore, quando quell’incarico – destinatogli per errore ma apparentemente irrevocabile – gli cade dal cielo. Così come ben riuscito è il paradosso di quel Comma 22 che tiene tutti attaccati al fucile, non importa cosa accada: «Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo».

La quota delle missioni si alza sempre di più proprio quando sta per approssimarsi allo zero, sino a raggiungere un numero spropositato per YoYo che ha scelto l’Air Force nella speranza che l’addestramento durasse più della guerra. E invece in cielo ci deve volare per ben 51 volte, sotto il caldo sole italiano, a sganciare le bombe sugli obiettivi. E ogni volta è una scommessa: chissà se ci sarà una prossima volta.

Ma YoYo non ci sta; sembra l’unico fra i suoi commilitoni e fra tutti quegli ufficiali a cui piace fare la voce grossa, a non accettare che prima o poi quella missione potrebbe essere l’ultima. Al Comma 22 non si può appellare: inventarsi un dolore alla milza o sguainare vecchi trucchi da camerata (come quello di sabotare il cibo col sapone) non lo qualificheranno affatto come inidoneo alla guerra. Ma in questa sua continua lotta col sistema, c’è la volontà di non adattarsi a sopravvivere, di opporsi all’arbitrarietà e (ancora una volta) alla tragica banalità del male. E poi – viva il witz -, la guerra è più semplice di quanto si creda: un gioco di punti e corde su una piantina dell’Italia, esposta dentro uno spazio dove si raccolgono le alte cariche, quelle che si fanno arrivare la carne dalla Scozia mentre il resto della compagnia consuma la sbobba. YoYo sa quanto importanti siano, per loro e per se stesso, quei punti e quella linea: sotto di essa l’Italia è libera, al di sopra c’è il nuovo obiettivo, che significa una nuova missione. Questa volta è Bologna, ma lo abbiamo capito che per YoYo non si tratta di un gesto rientrato nella routine quello di alzare la leva per lo sgancio. Per cui la città Emiliana non è solo un freddo spostamento di punti e corde, ma un nuovo pretesto per lasciarci la pelle, o non vedere i propri compagni rientrare in tenda. Allora perché non svegliarsi di notte e spostare punti e corde sulla mappa lasciando credere agli alti gradi che quasi Bologna si sia liberata da sola?

 C’è chi è tanto stupido da crederci. Salvo trovarsi lì il giorno dopo nel pieno di un’adunata di nazisti.

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