Si scriveva questa piccola sintesi di “colore”, provando ad attenuare un attimo l’arduo e non poco travagliato processo di transizione pre – post scissione tra “vecchio” Pd e nuovo Pd targato N.Zingaretti (attuale segretario del Partito e Presidente della Regione Lazio). Un periodo non proprio rose e fiori (e accidenti), specie per chi bazzica (in tali casistiche) i circoli e i dibattiti di partito a riguardo. Dei luoghi in cui è bene ricordare, ritrovarsi ed iscriversi anche, per far numero certo ma soprattutto per riscoprire quello spirito di comunità aperta all’ascolto e alla discussione sui fatti della cosa pubblica, per chi senta l’indole di poter sentirsi maggiormente vicino all’altro e condividere i propri valori, le proprie visioni e aspettative (o ideali) su quanto ci circonda.
Che spesso, in modo non lineare asseconda in maniera subdola ed indiretta i nostri stili di vita, le nostre scelte, a causa della famigerata globalizzazione e della stessa e conseguente (anche qui non di rado) disgregazione dei vari corpi sociali ed organismi, così di sovente sull’ottovolante ad attrarre o attrarsi a quel fenomeno di massa del momento piuttosto che a quel leader più in voga, come a essere diventata quest’ultima categoria di comportamento, lo sport più in voga (appunto) del momento. Come se i processi storici attuali siano semplicisticamente da affiancare ad una seconda “pandemia” a colpi di like, che reale condizione di esistere non hanno nella stragrande maggioranza dei casi, se non per celare volontariamente la reale condizione del meno peggio, in cui si propende a presiedere sul galleggiare navigando a vista piuttosto che provare tutti insieme a poter, se non cambiare in modo imminente le cose che non vanno, almeno ad aggiustare il tiro per un inversione di rotta. Provando a trasformare oltre la finta forma e sostanza che gli compete, il tormentone personalistico e caciaro che dal populismo della prima ora giunge verso la caccia alle streghe delle fake news, veri avatar del finto progresso di questi anni, quasi fossimo proiettati in una nuova ed unica (e purtroppo si fa per dire) alfabetizzazione collettiva dai tempi dell’invenzione del televisore, e spettatori esangui dall’esterno di una sit-com. Cambiare è possibile nelle urne certamente, con penna e matita alla mano, per dover invertire ancor più in questi tempi dai brutti presagi del “speriamo che me la cavo”, del “minuto dopo” già in zona cesarini. Perché questo è stato.
E per fortuna fatto salvo il vessillo, ce ne siamo (più che in parte)liberati, dando nuova linfa ad una linea di pensiero e di azione politica più aperta e condivisa al confronto anche interno, sulle idee, sul dove tutti insieme si voglia andare per tracciare una direzione chiara senza annaspare nelle nebbie indotte dall’incertezza. Un nuovo corso, dunque, quello intrapreso da Zingaretti, in cui sposare la linea di partito non è dunque una priorità apparentemente malcelata e basta, come poteva esserlo in quota a questa o quell’altra corrente. Dove poter sposare la “causa” della “ragione di stato”, non debba considerarsi obtorto collo, lunghi sulle cose e sui fatti, sulle ragioni e necessità contingenti i processi sempre più “scarnificati” e “celeri” della cosa pubblica, in calce ad accordi o prese di posizione. Ma al contrario in virtù di ciò, considerare alla stregua le stesse cose di più piccola entità come altrettanto urgenti e necessarie al pari di strategie più articolate ed imponenti. E ancora, si parla infatti tanto della concomitante ed interfacciante fase sulle elezioni regionali ad esempio, nella soluzione di semplificazione del parlamento e delle camere con il referendum per il depotenziamento lì del numero degli eletti. Cosa possa servire questo scontro “finto ideologico”, se poi nella fase attuale del paese alla vigilia della fase attuativa del Recovery found, c’è bisogno di scelte di campo concrete per altro già tracciate a livello di direttive europee su certi ambiti di spesa, a maggior ragione se poi in quest’ultima fase di rilancio del paese come da molti additata, non si senta già impellente la necessità non di far presto e male ma di far meglio e bene, per tutte le Regioni chiamate ad interpretare e dialogare con questo principale caposaldo di sviluppo (ultimo baluardo dai più definito), alle soglie. Si diceva, arrivare lunghi sulle cose, dove ad appannaggio delle sorti governative, persino uno scrittore ed osservatore sociale di rango come R. Saviano rischia di essere troppo semplicistico nei tempi e nei modi, nel suo articolo di qualche settimana fa a proposito dell’usurpazione ormai coatta da parte integerrima degli schieramenti politici e della sinistra in particolare del significato del binomio “ragione di stato”.
Ecco tornare nel merito e nel peso delle cose, anche con più acume retrospettivo e sulla complessità di certi fenomeni che molto spesso sfidano i loro stessi equilibri su portate di grandi masse umane e di fermenti sociali e meccanismi complessi in maniera più di molto meno circoscritta di quelli che a naso si possa immaginare, credo possa essere anche un buon viatico per interpretare anche meglio le cose di minore entità (come detto) che allo stesso modo magari (ma con metodica diverse) attanagliano persone o comunità, e che solo evidentemente con una nuova gestione delle buone pratiche amministrative, progettuali oltremodo inclusive, si può con decisione segnare una nuova stagione identitaria del Pd e della coalizione di centro sinistra, alternativa al navigare a vista. In una Italia in cui molti italiani, dal tritacarne mediatico odierno tendono troppo in fretta a confondere il buon momento di questa opportunità storica, e rispetto ad una visione identitaria e socialmente prolissa. Rischiando (a giornata) di perdere la bussola, ricollocandosi a loro volta quasi mestamente in quello che gli viene prefigurato ed indottrinato in modo preconfezionato. Certo altresì, lo strumento della memoria per evitare che la storia non si ripeta troppo spesso in maniera nefasta, come in passato, e per evitare quel senso di smarrimento generalizzato, che oggi più che mai fa che le avvisaglie e quei prodromi di mala gestio, possano annidarsi e non escludere del tutto quella percezione costante “sul filo del rasoio” rappresentata dal tripolarismo zoppo, senza coalizioni strutturate al loro interno. Con il rischio di svuotare ulteriormente bacini elettorali imprigionati dal flagello della trasversalità, in nome e per conto della quale, “trascendere” dagli inferi masochisti ed inopportuni al di la di steccati e recinti con troppi preconcetti al seguito, non è troppo auspicabile.
Filippo Mucciarone