Dott. PorkA’s, quando la Urban Art, tra umoristico e dada, induce a “pensare su quello che guardi”

by Fabrizio Stagnani

Tre fratelli, non tutti di sangue, così si definiscono, un po’ come fecero i Ramones, uno dei loro riferimenti, dichiarandosi cugini pur non essendolo, ma questo resta che non vorrebbero si dicesse. Oltre ai rumors in merito alle parentele interne, anche le identità vogliono rimanere celate, operano in anonimato. A circoscriverli, se mai qualcosa ci può riuscire, è un nome, al quale ormai sono drammaticamente affezionati, pur se da sempre gli ha creato problemi, a partire dalla prima esposizione, passando per la Biennale del Mediterraneo sino alle ultime azioni.

Problemi almeno con chi non è del settore e risulta non affine a queste … come dire? …maialate! Volendo un ossimoro, un titolo altisonante abbinato ad un vocabolo spietatamente triviale, Dott. PorkA’s. Un collettivo formato dal nocciolo principale dei tre fondatori, coadiuvato da una cerchia di stretti collaboratori, a tutti gli effetti PorkA’s, e svariate altre cellule fiancheggiatrici, così sono soliti chiamarle, che a diverso titolo, conoscendo i presupposti alla base dell’arte proposta, le finalità del lavoro ed il modus operandi, collaborano all’appoggio logistico, la ricerca dei materiali oppure impiegandosi in prima persona come modelli. 

Quando si ha a che fare con loro anche le leggi della fisica saltano. Newton, avendoci a che fare, impallidirebbe ad osservare come il principio di proporzionalità tra azione e reazione non sarebbe più dimostrabile. Se ai Dott. PorkA’s rivolgi una domanda la risposta non è mai pari alla sua portata, bensì rincarata di molteplici altri floridi contenuti. Una cosa è certa siamo nell’universo della Urban Art, anche se loro sono gli autori del Manifesto della street-photo performance, più macroscopicamente ascrivibile al filone dell’Interventionism. Cronologicamente arte contemporanea, ma in prepotente distacco da quella che si sta arrotolando su se stessa alla disperata ricerca di punti di forza estetici o intellettualistici, la quale sembra colpire sempre meno nel senso i suoi fruitori. Loro, come gli affini, sarebbero anche pronti ad essere musealizzati, ma con la prerogativa di non accettare paletti o censura alcuna. Come già accaduto, sono pronti a rifiutare incarichi, fermamente in equilibrio sull’idea che l’arte, chi ne realizza, propone e gode necessitano responsabilizzazione. A conseguenza di questo, pur se apparentemente stona con il concetto di responsabilità, resta che preferiscono esprimersi il più delle volte per strada, spesso rasentando nelle loro azioni l’illegale. 

Tre passi in dietro, serve prima di proseguire inquadrare meglio i Dott. PorkA’s. Nati negli anni settanta, baresi, per lavoro emigrati chi a Torino, chi a Bologna o Roma. Il background nel quale fanno nutrire le radici è composto in primis dal mondo dei graffiti e della scena rave, di conseguenza tutto l’attinente i contesti delle prime teknotribe, nonché alle connotazioni punk. Nei primi del novanta scheletri architettonici e capannoni industriali abbandonati gli hanno fatto da culla. Poi a strutturare il pensiero che produce l’espressione, fra le molteplici influenze, il situazionismo ed il dadaismo. Di Duchamp hanno elevato il “ready made objects” al “ready made areas”, non più, non solo, oggetti da privare della funzione utilitaristica al fine di infondergli significati, ma luoghi, scenari, con i quali giocare. L’esordio artistico è stato con l’autoproduzione di fanzine e fumetti, la maturità, mai abbandonando le prime passioni, con azioni di rottura, murales, performance, organizzazione di eventi, street art quindi pure poster art, esposizioni, fotografie e documentari. Se si vuol sapere cos’è  la street-photo performance, è tutto questo, con dei dettami ben precisi però. Il primo impegnarsi affinché il pubblico arrivi a porsi degli interrogativi, non importa con quali conclusioni, considerato che queste saranno comunque e sempre plurime. Al delegato alla comunicazione dei Dott. PorkA’s, incontrato per questo approfondimento, mai sia a rivelarne il nome, piace creare il parallelismo tra il comico e l’umoristico della poetica pirandelliana con l’arte contemporanea puramente estetica e quella votata al suggerire riflessioni. Queste ultime loro le fanno affiorare da scenari reali “altri”, abbandonati, appositamente nascosti al pubblico ludibrio, interdetti. La mira è a quei luoghi in cui il sistema, forse andrebbe scritto con la “s” maioscola, è andato in corto circuito. Punta Perotti di Renzo Piano sul Lungomare di Bari, cave di amianto, allevamenti di mitili in baie avvelenate, depositi di scorie nucleari.

Prendono una situazione di punta, ne approfondiscono la conoscenza, ideano l’azione, ognuno di loro con la propria specializzazione apporta il personale contributo fisico e creativo, scavalcano, infrangono la barriera che li divide dal set, come nella commedia dell’arte ogni maschera va ad occupare il suo spazio nella genesi dell’assurdo e grottesco, improntano la performance e ne vengono prodotti scatti fotografici o video, arte su arte. E’ l’ambiente il soggetto stesso dal quale e per il quale si comunica. “In un momento di narcolessia culturale totale, il messaggio forte è anche comincia a pensare su quello che guardi!”, dicono, d’altronde sono artigiani di immagini ed immaginari. Comunicare l’obbiettivo dell’arte, lasciare una traccia, raccontare, come archetipicamente facevano gli uomini preistorici con le pitture rupestri. 

Nutrito il palmarès per i Dott’ PorkA’s, esposizioni nella Sala Murat di Bari con il GAI, la partecipazione alla “Biennale d’Europa e del Mediterraneo” nel 2008, nello stesso anno la menzione ai loro lavori da parte di Mario Cresci su “Future Images”. Poi la personale intitolata “Zona rossa” a Torino inserita nel contesto del festival cinematografico “Cinemambiente” (2010), la collaborazione con Andrea Bartoli, fondatore a Favara della fondazione Farm. Ed anche il coinvolgimento al Kufa urban art festival del 2014 con la performance “Piety is not an art object”, seguito l’anno successivo da quello che li vedeva protagonisti al 38° Festival del Cinema Italiano di Villerupt, in Francia. Solo di una prerogativa non si è parlato fino ad ora, divertirsi, senza questo aspetto, come gruppo, come singoli, non farebbero nulla di tutto questo, è lo si percepirebbe anche nella loro urban art la quale a sua volta emoziona è lascia riflettere. 

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