Il messaggio di Salvatore Ferragamo rivive nel museo. “Le difficoltà aguzzano la creatività”, parola di Stefania Ricci

by Michela Conoscitore

Il concetto di sostenibilità è stato pronunciato spesso, in questi ultimi mesi: abbiamo assistito ad una pandemia che ha assunto dimensioni globali, ed è stata il risultato dell’intervento sconsiderato dell’uomo sulla natura. L’unica via da intraprendere è quella della sostenibilità, per evitare che simili pericoli si verifichino anche in un prossimo futuro.

Sostenibilità è diventata la parola d’ordine della maison di moda fiorentina Salvatore Ferragamo: la famiglia, da tempo, sta perseguendo l’obiettivo di rendere la propria azienda più green e con la mostra Sustainable Thinking, allestita a Palazzo Spini Feroni, sede della Ferragamo a Firenze, ha dato prova del suo impegno nella ricerca e diffusione di una moda proiettata verso l’uso di nuovi materiali.

Visitando Sustainable Thinking, si scoprono nuove fibre come filati provenienti da bucce d’arancia, oppure dal pelo degli yak, tutti materiali prodotti da aziende italiane, e la mostra evidenzia questo circolo virtuoso ispirato proprio dalla maison Ferragamo che, così facendo, sta recuperando l’esperienza del suo fondatore, Salvatore Ferragamo, un vero e proprio pioniere dei materiali naturali già negli anni Quaranta.

bonculture ha intervistato il direttore del museo e fondazione Salvatore Ferragamo, nonché curatrice della mostra, la dottoressa Stefania Ricci, per farci raccontare non solo obiettivi e speranze della mostra Sustainable Thinking, ma anche la filosofia di una delle aziende di moda italiane più all’avanguardia nella green fashion. 

Direttore Ricci, quando comincia il suo legame con la maison Ferragamo?

Inizia nel 1984, quando mi occupai della mostra su Ferragamo inaugurata a Palazzo Strozzi l’anno successivo, nel 1985. Da allora cominciai ad occuparmi dell’archivio Ferragamo, e quando si è costituito il museo, ne sono diventata direttrice responsabile, entrando in Ferragamo, poiché in precedenza mi ci ero approcciata da libera professionista. Dal 2016, con la nascita della Fondazione Ferragamo che ha le mission dell’affermazione delle nuove generazioni e la tutela dell’artigianato, ne sono diventata direttore.

Il museo Ferragamo è tra i primi enti culturali ad aver riaperto a Firenze, dopo la pandemia, e avete deciso di prorogare anche la mostra Sustainable Thinking. Quale significato assume la ripartenza post Covid per il museo?

Abbiamo deciso, quando si era ancora in quarantena, che era forse giusto prorogare la mostra sulla moda sostenibile perché chiaramente il tema oggi è più che mai attuale. Il museo ha un po’ sofferto della chiusura causata dalla pandemia, perché l’ultimo mese precedentemente previsto per la mostra, marzo, è quello dove accogliamo scuole da tutta Italia. Avevamo tantissime prenotazioni. Proprio per questa interruzione brusca della mostra e per il tema che tratta, siamo giunti alla decisione di offrirla ancora al pubblico e l’abbiamo ritenuta anche una giusta ripartenza. Ovviamente, all’interno del museo abbiamo attuato tutte le misure preventive richieste dal decreto. La riapertura del museo è coincisa anche con quella del negozio, è un messaggio importante da parte della famiglia Ferragamo: la maison non tiene conto solo del profitto, ma mira a diffondere la cultura, tra le priorità nella vita di una persona ci sono salute e lavoro, ma un posto è occupato anche dall’arte, dalla conoscenza e dalla bellezza, perché altrimenti non saremmo esseri umani, essi sono ‘beni’ fondamentali per lo spirito. Abbiamo offerto la gratuità per il mese di maggio, e i visitatori man mano stanno aumentando. Per noi questo è già un successo.

Come nasce la mostra Sustainable Thinking?

La gestazione di Sustainable Thinking è stata molto lunga e ha coinvolto tante persone: le nostre sono mostre annuali, infatti ST è stata inaugurata nel 2019, e progettuali, li concepiamo noi e quindi il lavoro organizzativo è imponente. Alla sostenibilità nella moda, la maison e il presidente Ferruccio Ferragamo tengono moltissimo: il presidente ha raccontato che rivedendo le creazioni del padre, oggi si potrebbero ritenere sostenibili. Il sughero, la carta, materiali di riciclo come l’involucro delle caramelle, sono tutti materiali che Salvatore Ferragamo ha utilizzato nel periodo dell’autarchia fascista, perché era difficile effettuare approvvigionamenti per la manifattura calzaturiera, dato che quel materiale era destinato all’esercito. Ciò che ha dimostrato Salvatore Ferragamo, ed è un messaggio attualissimo anche oggi a causa del Covid, è che le difficoltà aguzzano la creatività: nella ricerca di una soluzione, per evitare il blocco dell’azienda, ha creato le sue scarpe più belle.

Può raccontarci il percorso espositivo e i suoi protagonisti?

Prima della mostra, come casa di moda, dovevamo essere pronti ad affrontare la sostenibilità: l’azienda sta facendo molto per aumentare la sostenibilità, i nostri stabilimenti sono ad impatto zero, e il museo è stato il primo in Italia a ricevere la certificazione ISO 20121 (International Organization for Standardization, certificazione che attesta l’organizzazione sostenibile di eventi, ndr.). Poi c’è la parte del prodotto, e per un’azienda manifatturiera come la Ferragamo ciò coinvolge anche i fornitori, che nella maggior parte dei casi hanno un sistema di produzione tradizionale, il codice etico dell’azienda deve essere condiviso anche da loro. Il cambiamento è assolutamente necessario, ma in alcuni casi può essere particolarmente lento perché per diventare sostenibili, si potrebbe diventare ‘insostenibili’ mandando a casa intere aziende. Abbiamo cercato una serie di professionisti che collaborassero con noi per spiegare il tema della sostenibilità nel mondo della moda. Marina Spadafora e Sara Maino che lavorano già nell’ambito della sostenibilità, ci hanno aiutato a trovare questi designer che hanno improntato il loro lavoro in quella direzione. Questi designer sono anche dei portavoce, perché attraverso conferenze e incontri spiegano alla gente, soprattutto ai giovani molto sensibili sull’argomento, perché hanno scelto questa via. Tutti i materiali esposti in mostra sono sostenibili e certificati. La sostenibilità è un processo complesso, che richiede conoscenze di fisica, chimica e dei processi produttivi, ecco perché abbiamo chiamato degli esperti per organizzare ST. Associati a creazioni sostenibili e materiali, ci sono le opere d’arte perché come la moda parlano un linguaggio universale che tutti comprendono: c’è una sala dedicata all’artista argentino Tomas Saraceno e i suoi studi sull’Aerocene, dove il problema degli esseri umani nel prossimo futuro sarà un’aria troppo inquinata. I suoi esperimenti di macchine volanti senza carburante prospettano quindi un futuro meno inquinante. Un altro progetto a cui tenevo moltissimo è quello di Diversity, a cui è dedicata un’altra sala del percorso espositivo. In Ferragamo c’è un assoluto rispetto delle persone, nella loro totalità, si lavora senza nessun pregiudizio. Due artisti olandesi, quindi, hanno realizzato questi gruppi di foto dei dipendenti Ferragamo, che si basano sulla similitudine dell’abbigliamento. Con questo progetto, il codice dell’azienda quindi è stata messo su carta, ovvero quello del rispetto della diversità. Sono stati coinvolti anche molti ragazzi del liceo classico Michelangiolo e giovani artisti: alcuni di loro esporranno presto le loro opere al museo Novecento di Firenze. Inoltre gli arazzi presenti in mostra sono stati realizzati dal laboratorio tessile femminile della comunità di San Patrignano, guidato dalla designer Barbara Guarducci, e hanno utilizzato il nostro materiale di scarto per realizzarli, ovvero pellame e tessuti.

Alla luce di ciò che è successo negli ultimi mesi, ovvero la causa ambientale che ha scatenato in tutto il mondo la pandemia da Covid, quanto è necessaria una moda sostenibile oggi?

La mostra ci dice che dovremmo resettare tutto, a partire dal nostro modo di pensare che dovrebbe diventare più sostenibile, e quello che è accaduto in questi mesi ce lo ha confermato. La natura è più forte di noi, e ce ne ha dato una prova. Più che un pensiero o un obiettivo, la sostenibilità deve essere un processo irreversibile. Sustainable Thinking, inoltre, ha anche testimoniato che essere sostenibili nella moda non significa rinunciare alla bellezza.

Come museo, avete ideato nuovi progetti in questi mesi di pausa?

Sì, siamo alla nostra prima esperienza con i virtual tour: sarà possibile, a giorni, poter visitare il museo dal nostro sito internet. E questo varrà non soltanto per la mostra Sustainable Thinking, ma anche per quelle che organizzeremo in futuro. Stiamo progettando più attività digital, pensando molto anche ai giovani, che però non sono sostitutive di una visita fisica del museo ma complementari. Ovviamente è stata progettata la nuova mostra, per il prossimo anno. Nonostante lo stop, per noi è stato un periodo proficuo che ci ha visti molto impegnati.

Mi pare di comprendere che le nuove generazioni sono al centro della filosofia dell’azienda, vero?

Sì, avviamo sempre molte collaborazioni con le scuole che partono da vari ambiti dell’azienda, dalle risorse umane alla produzione. E come fondazione, a parte l’alternanza scuola-lavoro, dallo scorso anno organizziamo un concorso, Young Talent, dove abbiamo invitato scuole internazionali ad interpretare con capi e accessori i materiali di riciclo della Ferragamo. L’edizione di quest’anno verrà rimandata.

Quale legame connette la maison Ferragamo alla città di Firenze?

La maison Ferragamo è nata a Firenze: Salvatore Ferragamo scelse questa città per la sua tradizione storico-artistica e di grande artigianato. Non soltanto ha stabilito qui la sua azienda, ma anche la sua famiglia, quindi il legame della casa di moda con Firenze è fortissimo, come brand e affettivo. Sia la famiglia che il marchio sanno di essere, in qualche maniera, debitori del loro successo a Firenze.

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