Il Poeta eterno. Papa Francesco e Sergio Mattarella consacrano il trionfo di Felice Limosani

by Enrico Ciccarelli

Inizialmente calendarizzata fino all’8 gennaio, la mostra Dante. Il Poeta eterno, allestita a Firenze dal digital artist foggiano Felice Limosani nella mirabile Cappella dei Pazzi del Chiostro di Santa Croce, era stata prorogata fino al 14 febbraio in considerazione del gradimento del pubblico, testimoniato dagli oltre centomila ingressi alla mostra. Un successo che si è accompagnato al forte apprezzamento di critici e semplici cittadini che hanno avuto la possibilità di confrontarsi con questo che è lecito definire un piccolo miracolo di creatività e rigore, di studio e fantasia. E ora è arrivata un’altra proroga, fino al 27 febbraio, per motivi davvero specialissimi.

Ma andiamo con ordine: non è ozioso precisare che non stiamo parlando di una delle tante meritorie iniziative che nella penisola e non solo sono state dedicate a Dante Alighieri nel settecentesimo anniversario della morte. Un fervore di studi e di eventi che ha riguardato anche Foggia, grazie a Gabriella Berardi, direttrice della Magna Capitana, che con la mostra Visibile parlare ha sciorinato la ricca dotazione dantesca dell’immenso patrimonio librario della nostra Biblioteca, fra le maggiori del Mezzogiorno d’Italia (e non per caso Limosani è stato fra coloro che hanno tenuto a battesimo l’evento):

Ma “Il Poeta eterno” spicca per molte ragioni. La prima è senz’altro la sede: la Cappella dei Pazzi, capo d’opera dell’architettura rinascimentale, porta la firma di Filippo Brunelleschi ed è un prodigio di equilibrio, sobrietà e misura. Si trova nel luogo più dantesco del mondo: in linea d’aria la casa natale di Durante Alighieri detto Dante dista poche decine di metri, e nella grande Basilica e nei suoi verdi dintorni ha certamente passeggiato e probabilmente studiato l’autore della Comedìa. Ed è fra le ipotesi ragionevoli che si sia incrociato lì con Beatrice Portinari, detta Bice, venuta al mondo a miracol mostrare.

Di più: Santa Croce è il luogo dell’antico rimorso di Firenze per il poeta esiliato (cui per la verità fu proposto di ritornare, ma a condizioni tanto umilianti che egli rifiutò con sprezzo). Nel 1865, seicentesimo della nascita, la Firenze fresca capitale del Regno d’Italia gli eresse proprio lì una gigantesca statua di marmo. E all’interno della Basilica, fra le tombe degli uomini illustri (l’urne de’ forti) che incantarono Foscolo, cinquantasette anni fa è stato realizzato un gigantesco cenotafio, un monumento funebre che non è sepolcro (i resti mortali di Dante sono a Ravenna; quelli immortali in tutto il mondo).

Come ha fatto un artista foggiano, fissato per l’Umanesimo digitale, a riportare Dante a casa, come dice scherzosamente lui stesso? Come ha fatto a farsi ascoltare dall’Archivio Alinari, dall’Opera Santa Croce, dal Ministero dell’Interno e dalle tante autorità legali e culturali che hanno voce in capitolo su un luogo così prezioso? Con una idea, tanto semplice quanto strabiliante: trasformare un poema di cento canti, di oltre quattordicimila versi e più di centomila parole in un viaggio intensissimo e breve, fatto di immagini, musica e suggestioni.

Perché il colossale poema, complesso e ardito come una cattedrale gotica, irto di corrispondenze cabalistiche e numerologiche, denso di tutto il sapere del suo tempo, talmente inaudito di avere bisogno di strumenti nuovi (la terzina per Dante fu l’equivalente della carrucola per la cupola di Santa Maria del Fiore) ha un cuore semplice, immediato. È storia umana, di perdizione e di ascesa, di attesa e perdono, passione e beatitudine. Limosani è andato a scuola da Gustave Doré, l’ottocentesco incisore francese anch’egli prosecutore e rinnovatore di Dante, ed ha unito la sua reinterpretazione del pellegrinaggio ultraterreno a musiche che ha composto sulle parole di Hildegarde von Bingen e su quelle di Beata viscera.

Semplice a dirsi, geniale e faticoso a realizzarsi. Non pretendo di saper dire perché in ogni luogo della Cappella Pazzi i suoni arrivino con perfezione e nitore; ma so che Limosani ci ha lavorato per mesi. Pochi minuti, meno di mezz’ora, nei quali il più grande poema dell’umanità viene ad un tempo reso universale nello spazio, grazie all’assenza delle parole o alla loro traduzioni in fonemi, e perenne nel tempo. Perché Limosani traduce Dante e Doré nel nostro tempo, intervenendo sul formato delle immagini, animandole, traslandole in nuovo stato, predisponendole alla visuale da schermi o a strumenti da realtà immersiva. Nulla di più lontano dalla nostra tradizionale percezione del testo dantesco, nulla di più fedele ad esso.

“Il Poeta eterno” è un unicum, un autentico esempio paradigmatico di cosa sia l’Umanesimo digitale. Per la nostra città è un motivo di orgoglio e di fierezza. Che troverà la sua consacrazione domenica 27 febbraio, giorno di chiusura della mostra, che avrà come ultimi visitatori in ordine di tempo Papa Francesco, che quella mattina dirà Messa in Santa Croce, e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Merito di Dante, per carità. E di Brunelleschi, certo. E anche di Felice Limosani, foggiano, che fu terzo tra cotanto senno.

Nel video l’intervista a Felice Limosani realizzata nello scorso dicembre, nel giorno inaugurale di Visibile parlare.

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