Il teatro è live: Roberto Corradino e la sua idea di arte nella fase 2

by Luana Martino

Continuano gli incontri con gli artisti pugliesi che ci raccontano della loro arte, di come abbiano vissuto il lockdown e come stiano affrontando la, cosiddetta, fase 2.

Abbiamo incontrato Roberto Corradino, attore, performer autore, regista.

Classe 1975, Roberto viene dal mondo della pittura poi si dedica al teatro perché, come lui stesso afferma: ‘il teatro, mi permetteva di mettere insieme lo scrivere, il pensare, il dipingere e mi permette di lavorare con le mani, la testa e il corpo e dire quello che volevo dire come lo volevo dire come lo volevo dire io volta per volta.

Cosa ha significato la quarantena per l’arte e la cultura? Cosa ha significato per te?

Credo che questa cosa, la quarantena abbia significato davvero poco per una persona come me, io sono uno che ormai riesce a stare bene con la sua solitudine. Io consiglio a tutti, dopo vent’anni e passa di ciclotimia depressione e pessimismo viaggiante di imparare a stare bene da soli. La solitudine è una cosa bellissima. Facendo attenzione che non si travasi in autismo o egocentrismo e indifferenza. 

Per l’arte cosa ha rappresentato la quarantena? Se mi chiedi per il sistema finanziato e del mercato dell’arte e dello spettacolo è sicuramente l’inizio di una dura prova.  L’arte invece credo che dalla quarantena esca illesa. Non è fatta di mercato e sistema finanziario, l’arte.

Durante il lockdown, hai realizzato delle dirette facebook in cui hai ‘accolto’, nella tua cucina, i fruitori e hai letto per loro dei passi di alcune grandi opere, come i ‘Promessi sposi’.

Non solo i Promessi Sposi, quello era l’appuntamento del pomeriggio. Poi in notturna- tipo radio clandestina – ho cominciato a leggere, mentre mi preparavo un gintonic La Fattoria degli Animali e  Il Processo di Kafka

Come è nata l’idea?  Come hai scelto le opere e la musica?

Come nasce un’idea. Guarda, l’idea centrale era di avere una disciplina, cioè prima di tutto serviva a me leggere per tenermi in allenamento, poi chiaramente sei uno che lavora al pubblico, pensi al tuo pubblico e a quello che potrebbe essere interessante durante il lockdown leggere per te e per il tuo pubblico. E lì è stato facile pensare al classico, come una sorta di passepartout intergenerazionale e anche come gioco ironico, alla fin fine la divina commedia e i promessi sposi non li leggi mai quando sei a scuola, vuoi perché sei adolescente, vuoi perché le imposizioni da adolescenti non le reggiamo. Difatti la sorpresa più bella è stata di una mia amica insegnante di liceo, che dovendo lavorare in Dad (didattica a distanza) con la sua classe aveva proprio i promessi sposi in programma e ha consigliato ai ragazzi di seguire le mie dirette fb.  Beh, la cosa fighissima è che la mia era una lettura proprio “da casa”, mi preparavo il caffè, salutavo, andava in sottofondo la Bertè o il Nabucco, si sentiva l’acqua scendere nel lavello, la sedia che cigolava mentre mi sedevo – ah una regola che mi ero dato era che non comparisse la mia faccia, per quello componevo ogni giorno un tableau, sia per dare la scansione del tempo che come cambio di scenario, diciamo cosi. Ma la mia faccia non era importante, doveva essere la voce soltanto e la storia di Manzoni il canale per il contatto. I ragazzi hanno capito benissimo qual era l’intenzione nascosta, quella di stare insieme, al momento del caffè dopopranzo come un appuntamento, fisso con un “amico” che veniva quasi a casa tua a leggerti un capitolo dei promessi sposi.  È stato un modo per tenere vive due cose: una la relazione con il mio mestiere e il contatto che è la base del patto con lo spettatore in ogni evento live. Cioè io questa cosa, la lettura, il teatro e anche la diretta fb leggendo Renzo e Lucia la sto facendo ora, per me e per te ma soprattutto con te.

La scelta della cucina – che poi è un cucinino piccolissimo – è stata per certi versi abbastanza obbligata. Era il luogo che vivevo di più tutto sommato e a me, poi, piace cucinare. E, inoltre, mi esaltava anche quel principio di condivisione informale che mi ero dato, il leggere mentre facevo altro. Certo, io sono un attore e comunque mi sono dato un compito di mestiere, leggevo sapendo che dall’altra parte c’era qualcuno che mi stava ascoltando e questo è sempre alla base del teatro. I quadretti creati per la scena fissa, un po’come le musiche, erano quasi sempre casuali ma, qualche volta, suggerite da qualcuno che mi mandava un brano da ascoltare e io provavo ad inserirlo. Così come gli oggetti che avevo in casa diventavano simbolicamente elementi di una scenografia povera ma diretta. Anche lì succedeva che qualcuno mi chiedesse che fine avesse fatto il disegno o il mestolo utilizzato il giorno prima. Oppure spesso nella scenografia c’era il pane che avevo appena sfornato – finalmente son riuscito a dedicarmi al famigerato lievito madre come immagino l’80% degli italiani in quarantena – Insomma diciamo che il principio formale è stato il “tutto fa brodo” in senso dadaista.

La cosa bella è che anche quei quadri fissi, le musiche, l’appuntamento pomeridiano sono diventati parte di una piattaforma, una pratica di sharing ecco, che ha accompagnato me e chi mi ha seguito. Diciamo che ci siamo “congiunti” prima dell’ultimo DPCM. Una sorta di famiglia allargata attorno al caffe pomeridiano o prima di andare a letto, per quelli della notte.

Da qualche giorno siamo entrati in quella che è stata definita fase 2, quali sono le tue aspettative? Cosa accadrà al mondo dell’arte? Al teatro?

Io non credo e non ho aspettative, giuro. Non ho speranza ma proprio perché per me la speranza è un ricatto, come diceva Monicelli. La speranza di un mondo migliore, dopo. E tendenzialmente dopo vuol dire dopo che sei morto. Io preferisco i desideri, alle speranze non ci credo. Così come non credo alla fase 2 o all’emergenza. Il mondo dell’arte o dello spettacolo l’emergenza la conoscono costituzionalmente. Non nel senso dei diritti costituzionali ma nel senso che è proprio della natura degli artisti vivere nell’emergenza. Certo la questione della sanificazione continua, il distanziamento e la mascherina mi fanno parecchia tristezza. Vuol dire che passa sempre di più la considerazione che tutto può essere controllato, sanificato, parametrato, medicalizzato, che la vita è vita solo sotto questa forme.  Beh, ma questo non è vero lo sappiamo tutti.  Ma qui non mi dilungo, e non voglio neanche dire che la pandemia sia solo un’invenzione.

Piuttosto che alla fase 2 io comincerei a pensare alla fase 3 e alla 4. Mi porterei avanti. Non si eviterà il digitale anche per il teatro – ma questa è una cosa che Covid 19 ha fatto solo esplodere ma c’era già – pensare alla fase 3 o 4 o 5 significa cominciare ripensare tante cose, creativamente. 

Puó essere un’opportunità.

Certo se digitale per il teatro significa mandare in streaming riprese fatte come se si fosse seduti in platea allora no. Paradossalmente l’occhio umano è già digitale, opera una sintesi che è molto simile al montaggio cinematografico. E in più ci sono gli altri – almeno 4 – sensi. Non ho aspettative, ma comincio a ragionarci.

Ma il teatro è live. Se discutere sul digitale significa aprire ad una riformulazione del live allora ne possiamo parlare.  Ma quelli come Elon Musk penso ci stiano pensando già da un po’ di tempo.

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