L’abbrivio dello slancio
fende l’aria come un soffio,
quindi un salto,
un altro ancora,
infine il tuffo.
Un ultimo sospiro,
un rumore sordo,
e l’incavo nell’acqua
lentamente si fa cerchio,
mentre il ciottolo sprofonda
disegnando una spirale,
come un uomo innamorato
che volteggia ad occhi chiusi.
Il riverbero di una lampara
barcolla all’orizzonte,
oscillando sulle creste
che disegnano le onde
più lontane,
e ritorno ai tuoi occhi
da cui sempre provengo
come il sasso sull’acqua
zampilla e rimbalza
poiché il suo destino
è tornare agli abissi.
“Che sia in questo calore
il senso di ogni cosa?”,
mi chiedo mentre afferro
lentamente la tua mano,
ed ebbro del tepore,
dita tra le dita,
mi abbandono a una felicità
inattesa, improvvisa.
Mi osservi con l’intensità
di cui non sono capace,
non ora,
troppo pieno dei tuoi occhi
per non sentirmi nudo,
e tutto intorno a me
si fa vuoto e sfumato,
perché é nelle tue mani
che mareggia la vita.
È per questo smarrimento
che i poeti impugnano la penna,
che le stelle tagliano il silenzio
nelle notti senza vento
e i pensieri si rincorrono
e si perdono
nell’imprevista curva di un sorriso.
Non esiste verità
al di fuori dei tuoi occhi
né luoghi o orizzonti
che bastino a se stessi:
la realtà
è un lembo di seta
che tra le tue dita
diventa ricamo.