Se è difficile a volte chiedersi il perché accada un evento artistico, al di la dell’aspetto ludico ricreativo, e del fatto che un artista ad esempio dipinga un aspetto asettico o multiforme della natura o della materia, ci allevia forse pensare che ciò in una apodissi critica tra logica, ragione o estetica, neoplatonismo o esistenzialismo, e scemando così verso un panlogismo (che porta essenzialmente alla filosofia del secondo novecento), si possa come desumere dunque, che come la teoresi del mito deve farsi circospetta per chiedere indulgenza, allo stesso modo si può incorrere nel considerare (se si vuole) meno erronea una certa complessità e complementarietà della “patria dell’uomo” (secondo il sillogismo coniato da U.Eco nel 1960).
Analizzando infatti circospette opere (riguardanti soprattutto l’ultima fase realizzativa) di artisti più affermati a livello planetario, come David Hockney o Damien Hirst, o di altri più emergenti e simili tra loro per caratteristiche artistiche come Andrè Butzer o Alessandro Passaro, è evidente desumere una profittevole e trasversale contaminazione del campo delle avanguardie primonovecentesche, dell’espressionismo astratto, di quello della seconda parte del ‘900 in genere, come una sorta di panoramica riassuntiva dell’arte, che al contempo circa proprio la dimensione naturalistico ambientale delle trame pittoriche degli artisti suddetti, portano a eclissare un passato a noi “prossimo”, erigendo il presente ed il momento storico attuale, sommamente verso il futuro.
Perciò come casualità artistica a noi più vicina, parleremo qui della fenomenologia creativa del pugliese (artista di Lecce) A.Passaro…

Perciò come casualità artistica a noi più vicina, parleremo qui della fenomenologia creativa del pugliese (artista di Lecce) A.Passaro…
…Surreale e non come a suo modo lo era Chagall. Cubo-futurista e non a suo modo come lo era il periodo “tubista” dall’espressione deformata del mondo quotidiano e contadino del suprematismo in Malevic. Concettuale e non come un crossower tra un sincretismo viscerale e “sviscerante” tra forma d’afflato, luce e spazialità di Vasarely ed i batufoli di cotone (del “materialismo atomico”) degli Acrome di Manzoni nei quali era sotteso il chiaro rimando all’iride cromatico della naturale funzione pratica d’attuazione sulla tela.
Spaesamento e alienazione diventano quasi “spot domestico” nel rendering d’una figurazione deflagrata, consapevolmente pop nell’osmosi compositiva dell’immagine della sua opera. Che, come filo d’arianna riassesta un flusso mnemonico filtrato ed inclusivo “esplosioni” cromatiche che rappresentano il corollario recante sensitività scenografica dell’immaginario psicotico e caratterizzante “l’humus” dei suoi personaggi umanoidi e assuefatti, ribelli nell’affabulazione del proprio Io, del presente ormai in irrefrenabile “ascesa”.

Una figurazione quindi conseguentemente alterata e deformata nell’interfacciarsi tra la forte concentrazione non sense e d’ellissi temporale nello spazio inquadrato, che sembra giungere oltremodo in un presente adirato e/o vuoto, quasi dunque assurgesse ad una trasposizione su tela di un “reality”, la dove la cornice appunto in affabulazione del costume, si modifica sino a diventarne “alterego”.
Una indagine tutta modulare quindi del mezzo espressivo pittorico, quasi ad indagare come nella ricerca del “demone in ogni cosa” – dalla poetica futurista e surrealista in letteratura e pittura di Alberto Savinio -, attraverso l’ampia gamma materica degli oli, una concreta e vissuta epifania pluri sintagmatica riversata s’una cronicità figurativa.

Un paradigma d’interpolazione (e ridefinizione) dell’immagine (a 360 gradi), quello di Alessandro Passaro, che tramite un indice surrealistica ed una matrice naturalistico –fotografica, rimarca e rileva in un percorso analitico delle sue opere, le mille sfaccettature e contraddizioni legate all’intertesto medium scomposto e creativo di riferimento, come “totem” della sua opera, che fa dialogare artista e spettatore ponendosi ex equo in lente e in rifrazione già dunque in maniera più artefatta su una certa idea di futuro “possibile”.
E con questo termine, “Futuro”, che è anche il titolo di un testo di Marc Augè, di cui ne citiamo qui proficuamente un tratto, salutiamo con affetto A.Passaro archiviando il presente nella sua arte. [..] “Nella nostra società dei consumi siamo più o meno coscientemente sensibili alla dissoluzioni dell’essere nell’apparire operata dai media, alle forme di solitudine che accompagnano i progressi della comunicazione e al principio di equivalenza o di indifferenza da cui, ogni giorno, sembrano dipendere la storia e l’informazione. La vita affettiva è sempre più orientata dagli stereotipi diffusi a livello planetario. La vita intellettuale è sempre più influenzata dai codici della correttezza più convenzionale. Precauzione, correttezza, rispetto: queste parole d’ordine generiche e indifferenziate esercitano una tirannia costante, come luoghi comuni mascherati da stereotipi morali che faticano a nascondere lo smarrimento, la collera o l’angoscia degli individui. Le superstizioni più deliranti, le tirannie dell’insensatezza e della follia religiosa cercano di imporsi, non senza successo, in nome della libertà, e noi ignoriamo chi siano i responsabili di questa deriva incontrollabile” [..]