Mariantonietta Bagliato, l’uso dei tessuti e la memoria collettiva

by Luana Martino

Oggi parliamo di Mariantonietta Bagliato artista visiva di Bari, classe 1985. La sua ricerca artistica è influenzata dal teatro delle marionette con cui è cresciuta sulle orme della madre, marionettista di Praga.

Il suo lavoro è caratterizzato dall’uso sistematico dei tessuti come materiali visivi per esprimere il potere evocativo della memoria inconscia collettiva. Trasforma i tessuti in forme morbide e avvolgenti, a volte aggressive e mostruose, in grado di stimolare molteplici sensi dal visivo al tattile. Lo spazio è essenziale perché le installazioni interagiscono con i luoghi e sono quindi attraversabili, abitabili e, a volte, interattive. Anche lei, come gli altri artisti che abbiamo intervistato, in questo momento di isolamento ha deciso di dare voce alla sua arte realizzando qualcosa che fosse ispirato da un elemento così comune oggi, cioè le mascherine di protezione individuale.

Cosa ha significato e significa la quarantena per l’arte e la cultura?

La necessità di chiudere l’accesso ai diversi luoghi di incontro culturali a causa dell’emergenza sanitaria è indiscutibile, ma chiaramente le difficoltà in questo momento sono tante e soprattutto per chi vive di questo lavoro. Questa quarantena ha fatto emergere in maniera forte il significato delle realtà culturali per la comunità, si sente la grande assenza ed emerge la necessità vitale dell’arte. La quarantena ha fermato la libertà di movimento ma non può fermare gli spiriti degli artisti. Certo poi, adesso ci sono dirette e mostre on-line, concerti e spettacoli teatrali proposti in televisione, ma questo non potrà mai sostituire la cosiddetta “aura” del fare artistico. Da questa grande mancanza che in molti manifestano, si evince che essere un artista nelle sue varie declinazioni è un mestiere più che mai necessario e che ha bisogno di avere maggiori tutele. Soprattutto in questo periodo di fermo culturale molte realtà indipendenti, collettivi, associazioni culturali, che hanno ruoli fondamentali per scrivere la storia culturale di una comunità cittadina e che fanno già grandi sacrifici per operare e per reggersi in piedi, ora rischiano di non poter più riaprire e questa sarebbe per tutta la comunità una perdita gravissima.

Cosa ha significato e significa per te?

Per me è un tempo che ha sospeso diversi progetti ma pieno di riflessioni. È una situazione che può avere anche degli aspetti positivi. Prendersi del tempo, leggere di più, vedere film e documentari, imparare ricette in cucina mai provate, cucire tutti i buchi e i bottoni di vecchi vestiti e ovviamente pensare alla produzione di idee e progetti nuovi. Ci sono così tante cose da fare che a volte ho anche paura di perdere tempo durante queste lunghe giornate. È un periodo che travolge con diverse emozioni, prima fra tutte il senso di appartenenza ad una comunità: il distanziamento è diventato una forma di azione sociale per preservare se stessi e gli altri. Credo si sia sviluppato un senso di appartenenza alla collettività che ci sta cambiando un po’ tutti, spero in meglio. Questo momento è un grande esperimento per capire come ogni individuo sia parte di un tutto ed è la manifestazione del grande potere che potremmo avere per cambiare le cose. Abbiamo l’occasione di capirlo, di sentirlo. C’è una grande solidarietà e complicità fra le persone che si formalizza anche in aiuti. Questo credo sia il lato positivo di questa terribile storia.  Quando mi sono trovata nella mia stanza a pensare cosa avrei potuto progettare di nuovo, ho capito in maniera più decisiva che anche la produzione artistica non può prescindere dalla relazione con gli altri.

In questo periodo hai realizzato, nel tuo inconfondibile stile, delle mascherine, simbolo del momento che stiamo vivendo certo, ma che con un tocco personale sono diventate una piccola opera d’arte di stoffa. Puoi parlarcene?

La prima cosa che ho fatto, da quando è partito il cosiddetto lockdown, è stata quella di cucire una mascherina, poiché era difficile reperirle. Volevo farla normale, ho visto anche i tutorial su youtube. Poi ho deciso istintivamente di disegnare con la macchina da cucire una bocca aggressiva e spaventosa, per spaventare il virus, un tentativo per esorcizzare la paura. La mascherina è diventata un bene di prima necessità in questo momento.  Il gesto di indossare la mascherina prima di uscire di casa è un gesto forte, è il primo momento in cui ci siamo accorti che quello che si dice ai telegiornali è vero, è il primo momento in cui ti accorgi che la fantascienza è diventata realtà, che è successo veramente, anche a casa mia: un cambiamento della quotidianità traumatico. Ho subito pensato di farne anche delle altre e ho realizzato una serie di mascherine di stoffa colorate e abbastanza normali da regalare a chi ne ha bisogno.

Quali sono le tue aspettative dopo la fine della quarantena?

Le aspettative sono tante, ma credo di essere una sognatrice. Sicuramente questo lungo periodo di riflessione, di lentezza, ha trasformato per un attimo le nostre coscienze. Ora siamo davanti ad una scelta importantissima, ci è stata data un’occasione di cambiamento. Spero che tutti facciamo la scelta giusta e di uscire da questa situazione come una umanità migliore e più in armonia con il tutto. Abbiamo una grande responsabilità, soprattutto per il pianeta che ci ospita e che ci sta chiedendo rispetto o morte.

Stai lavorando a nuovi progetti?

A breve uscirà on line un mio progetto realizzato in casa, una home exhibition, curata dai Like A Little Disaster per Solo show, un progetto online collettivo e decentralizzato per artisti che in questi giorni vivono l’isolamento e la distanza sociale. L’obiettivo è quello di archiviare le mostre realizzate nei propri spazi abitativi durante la quarantena coinvolgendo artisti di varie parti del mondo. Un lavoro corale e collettivo di questa esperienza che accomuna gli artisti di tutto il pianeta, un confronto davvero interessante. Il progetto sarà visitabile su solo show.online

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