Modulor o Algoritmo? Cento nuovi omini di Le Corbusier in mostra. Tra corpo e architettura al tempo dei social network

by Antonella Soccio

Si può dire che il Modulor è una scala, paragonabile approssimativamente alle scale musicali anche se, invece di essere una scala di suoni, è una scala di grandezze spaziali” scriveva André Wogenscky sul significato del Modulor, l’invenzione dell’architetto francese Le Corbusier, nella sua crasi tra module (modulo) e or (section d’or). Il Modulor, un uomo in piedi con un braccio alzato, è una “griglia proporzionale” basata su due scelte fondamentali, una matematica e l’altra antropomorfica. E cosa c’è oggi di più simile al Modulor dell’Algoritmo, che matematicamente assomma e interpreta statisticamente il nostro Esserci nel mondo, i nostri consumi, le nostre scelte, i nostri gusti, i nostri suoni, le nostre simpatie politiche profonde, le nostre parole e alle volte addirittura i nostri pensieri e i nostri sogni, direzionandoli e prevedendoli in una predizione spesso scontata e probabile e mai disturbante?

Parte da questa associazione tra l’intelligenza dell’uomo faber di Le Corbusier e quella artificiale delle macchine e di internet l’interessante mostra “Modulor o Algoritmo?” che fino al 29 febbraio sarà visitabile nella galleria della Fondazione dei Monti Uniti in Via Arpi a Foggia. Organizzata dall’associazione milanese H20 è la prima uscita pubblica della delegazione di Capitanata dell’ADI, associazione per il disegno industriale, presieduta dalla giovane architetta Iole Stanziale ed ha avuto subito il sostegno di Confindustria Foggia e della Piccola Industria di Confindustria nelle persone delle dirigente Maria Teresa Sassano e Maria Pia Liguori.

Quella di Capitanata è la prima sezione che coinvolge fattivamente gli industriali con un protocollo: le imprese pugliesi, e per prime quelle del marmo, infatti, si sono dette disponibili a incentivare la proprietà intellettuale e a produrre i prototipi e gli oggetti di design che gli architetti proporranno.

L’ADI a livello nazionale riunisce dal 1956 circa 1000 tra progettisti, imprese, ricercatori, insegnanti, critici, giornalisti intorno ai temi del design. Progetto, consumo, riciclo, formazione. Dal 1958 l’ADI gestisce il Premio Compasso d’Oro, il più antico riconoscimento d’Europa nel settore del design.

A 100 architetti, tra pugliesi, campani e milanesi, con una provocazione Roberto Marcatti, architetto e curatore ed ex presidente ADI Puglia e Cintya Concari presidente H2O Milano hanno chiesto di interpretare la loro idea di Modulor, mantenendosi ovviamente nelle misure di Le Corbusier. La mostra quindi consta di 100 Modulor, disseminati nell’allestimento previsto per la Fondazione,  tra i più diversi, strampalati e creativi.

“Le Corbusier sviluppò il Modulor all’interno della lunga tradizione di Vitruvio, ripresa nell’uomo vitruviano di Leonardo Da Vinci, di Leon Battista Alberti e degli innumerevoli tentativi di trovare proporzioni geometriche e matematiche relative al corpo umano con lo scopo di usare queste conoscenze per migliorare sia l’estetica che la funzionalità dell’architettura. Le Corbusier pubblicò Le Modulor nel 1948, seguito da Mudolor2 nel 1955 e Albert Einstein icona della matematica e della complessità dei numeri giudicò il Modulor dicendo che era un sistema bidimensionale che rende difficile il male e facile il bene. La scala di proporzioni usata dall’architetto Le Corbusier, il Modulor, che compara le proporzioni dell’architettura al corpo umano, trova la sua radice culturale nella Grecia classica e negli artisti del Rinascimento. Ma oggi a più di settant’anni dalla prima edizione, la domanda che si si pone e che mostra vuole fare emergere è: il linguaggio e il principio applicato ad una parte della storia dell’architettura e da un’icona come Le Carbusier è attuale? Nell’era dell’economia digitale e dei social network, dove tutto sembra amministrabile dalla “mano invisibile” di calcoli matematici, è possibile che l’invenzione dell’architetto Le Corbusier, il Modulor, sia ormai storia di altri tempi e debba essere sostituita da un ingranaggio fondamentale come quello degli Algoritmi? In comune ci sono sempre procedimenti di calcolo ma alla figura stilizzata di un uomo si sostituisce la forma di un diagramma ad albero, con passaggi molto precisi che permettono di trovare chiavi di lettura inedite o più specifiche tra informazioni già conosciute. E questo comporta la straordinaria possibilità di trovare nuovi fattori e fare previsioni sul futuro. Forse oggi lavorando con l’algoritmo e non con il Modulor si potranno mettere le basi per l’architettura che verrà”, hanno spiegato i due curatori della mostra insieme al critico della Fondazione dei Monti Uniti, Gaetano Cristino.

“L’intelligenza artificiale è un alleato dell’uomo e lo prevarica? C’è un confine labile che il Modulor ci aiuta a scoprire. Tutti i progettisti hanno collaborato gratuitamente. La mostra è partita da Galatina, per poi toccare Martina Franca, Fasano, Matera, Napoli e ora Foggia. Noi volevamo essere a Foggia nonostante tutto quello che si dice e si legge su questa città. Non siamo andati a Bari o a Lecce per essere qui. È un plus. Venire qui in una città che è sui giornali un giorno sì e un giorno no pensando ad un progetto che non è politico o economico, ma è culturale, portando la creatività italiana è molto importante. Saremo subito dopo a Milano nella settimana del Salone del Mobile nello show room della SieMatic a Garibaldi, in un kitchen store di un’azienda importantissima di cucine”, ha spiegato a Bonculture l’architetto Roberto Marcatti.

Teresa Sassano, Confindustria
Iole Stanziale e Cintya Concari

Ebbene ogni progettista per la mostra ha interpretato a suo modo “l’omino” di Le Corbusier. C’è chi lo adornato di fili, di luci, chi lo ha visto come un supereroe, rivisitando la nota pop art, chi ancora lo ha cristallizzato in un concept intellettuale. Chi lo ha visto come una vittima della strada, riverso a terra.

Marco Ferreri lo ha disciolto facendolo diventare un uomo di plastica, un uomo monnezza, dal titolo esemplificativo “Rifiutiamoci”.  

“Da Vitruvio a LC è l’uomo l’unità di misura del mondo. Rifiutiamoci. L’oggi obbliga a passare dal voler plasmare al capire”, ha scritto nella sua sinossi. Il tema ambientalista è quasi dominante nella mostra e presenta sicuramente le migliori interpretazioni del Modulor. Uno di loro tiene sul braccio alzato una bottiglia di plastica, piena di oggetti, di stracci. Sta quasi diventando più grande dello stesso Modulor, sommergendo l’umanità di rifiuti.

Non è un caso se da due donne, due architette, arrivino le installazioni più originali. Uno solo il Modulor donna, con indosso abiti che rinviano alla Frida tanto amata dal merchandising.

Si chiama invece “Caduta Libera” di Giusy Starace, il Modulor che meglio forse ha interpretato il senso ultimo della mostra. L’omino è reclinato, il suo braccio non è più librato al cielo.

Nella società odierna ogni caduta errore, sbaglio viene visto come un fallimento e non come un nuovo punto di partenza. Bisogna essere artefici del proprio punto di vista possiamo scegliere come cadere e anche come rialzarci poiché i migliori pensieri e riflessioni si ottengono in posizione orizzontale”, ha scritto l’artista. Come a dire che l’algoritmo non potrà mai entrare nella dimensione onirica del sonno e della crisi. È quando si inceppa il Modulor, quando si ferma, che l’algoritmo finisce di accumulare dati e informazioni, stabilendo il già dato e il già visto.

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