“Oscar Ghiglia. Gli anni di Novecento” a Palazzo Medici Riccardi: l’incanto profondo e colorato della realtà quotidiana

by Valeria Nanni

Poesia muta quella che viene fuori dai pennelli di Oscar Ghiglia, seppur fremente di vita, e dal fascino intenso. Chi vuole leggerla e immergersi in una riflessione colorata sulla natura e sul nostro vivere oggi, può farlo a casa di Lorenzo il Magnifico, palazzo Medici Riccardi, dove dal 7 aprile a 13 settembre a Firenze si espone “Oscar Ghiglia. Gli anni di Novecento”. I buongustai d’arte sono presto serviti, potranno vivere una collezione primavera estate all’insegna della forma e del colore, amabilmente modulati da un grande pittore italiano del Novecento.

Conosciamolo meglio.

Livornese di origine, sceglie Firenze per formarsi guardando con ammirazione il pittore macchiaiolo Giovanni Fattori e strizzando l’occhio alle novità europee che vedono protagonista il pittore post impressionista Cezanne e con esso la Francia. A motivo di ciò ecco spiegata la seconda parte del titolo della mostra, dove si accenna a “Novecento”, non al secolo, ma più precisamente ad un movimento artistico che in Italia ad inizio appunto del ‘900 prende corpo. Ed in particolare a Firenze gli artisti che si identificano in questa corrente artistica puntano a manifestare l’emancipazione artistica di fine ‘800 e al tempo stesso di appropriarsi fortemente delle nuove tendenze sorte in Europa ed antagoniste dell’800. Oscar Ghiglia in particolare sceglierà come forma di espressione le nature morte e i ritratti, ricavandone una riflessione tra opposti. Un oggetto, un volto semplice diventa enigma, e la perfezione cangia in irrisolutezza.

E’ un particolare tuffo nei primi anni del ‘900 ben sostenuto dai curatori della mostra Leonardo Ghiglia, Lucia Mannini e Stefano Zampieri i quali affermano come “Lo straordinario itinerario creativo di Oscar Ghiglia attraversa la prima metà del Novecento seguendo il pulsare degli eventi della storia, lungo le rotte di una pittura di grande fascino e originalità. Un percorso di quasi cinquant’anni durante i quali s’avvicendano diverse stagioni creative, e con esse i colori, la luce, la lunghezza delle ombre di un artista dal carattere difficile, avverso alla vita pubblica e al mondo delle esposizioni”. Tutto questo si dispiega agli occhi del visitatore attraverso l’esposizione di 60 opere prese in prestito da collezioni private e dalla Galleria d’Arte Moderna di Firenze in Palazzo Pitti.

E ancora “La sua pittura ci offre l’opportunità di cogliere la magia che si cela nelle cose e nelle persone di ogni giorno: il suo sguardo, insieme lucido e poetico, ci invita a riconsiderare l’incanto profondo della nostra realtà quotidiana”, così riflette Valentina Zucchi, responsabile scientifico del museo per MUS.E. isdtituzione culturale organizzatrice della mostra, in collaborazione con l’Istituto Matteucci di Viareggio.  

Non resta indifferente alla pittura di Ghiglia neanche il sindaco Dario Nardella il quale ha affermato come “nei tratti austeri e netti del suo dipingere scorgo personalmente una risposta interiore e una ricerca di pulizia e di bellezza. Opportuna la scelta di offrire una sorta di lettura di tutta l’opera di Ghiglia per temi e per tempi, con quella sottolineatura alle opere incluse nel filone del realismo magico che apre al futuro oltre l’apparenza delle cose e al mistero da cui nasce e torna la vita”.

Oscar Ghiglia definirà la sua una “pittura fondata unicamente sulla legge del saper trovare il tono giusto di un colore e costringerlo nel suo spazio giusto”. Sono queste le parole che aprono la prima sala espositiva della mostra dove campeggia il suo autoritratto e dove osserviamo un artista giovane, prima di maturare artisticamente.

Dunque si prosegue nella seconda sala, dove si assapora tutta la classicità fatta propria dall’autore, una sorta di rinascimento novecentesco tutto firmato Ghiglia. Si tratta è logico di una classicità sintetica, ma luminosa e salda.

La terza sala propone uno sguardo sbirciante tra la purezza femminile del corpo, il nudo. Qui assistiamo ad un dialogo con Modigliani, il quale disegna lo stesso soggetto del collega Ghiglia. Modigliani aveva di lui un’altissima considerazione professionale. “In Italia non c’è nulla, sono stato dappertutto – disse – Non c’è pittura che valga. Sono stato a Venezia, negli studi. In Italia, c’è Ghiglia. C’è Oscar Ghiglia e basta”.

Quarta e quinta sala propongono un caleidoscopio di soggetti e forme che richiamano fortemente il realismo magico affermatosi in arte negli anni 20 del ‘900.

Ghiglia sperimenta le superfici riflettenti, siano esse specchi o semplicemente zone lucide tali da mostrare il mondo dietro il pittore che dipinge. Così si può giocare a catturare immagini di porte, finestre riflesse, il cielo, nei suoi oggetti in primo piano. Non un vezzo artistico quanto piuttosto un espediente usato anche nel rinascimento per mostrare un modo in 3d, ed anche per permettere la soggettivizzazione delle forme attraverso il loro rilesso distorto sull’oggetto, lì in quel momento da quella posizione e con quella luce. Permettono di proiettarsi in una dimensione altra.

Palazzo Medici dunque si fa ancora una volta promotore di arte e provocatore di riflessioni sul tempo e sulla vita. Ci perdonerà il Magnifico se si è andati oltre quell’equilibrio prospettico tanto ricercato nel suo tempo, se la riproduzione reale è oggi oltrepassata a fronte di un’oggettività impossibile da raggiungere, e invece approdando alla realtà soggettiva che non può che lasciare aperto il finale della trama, sia essa fatta di lettere che di colore e disegno. Sarà perciò che Oscar Ghiglia ammalia e incanta tuttora.

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