Storia dell’arte e storia dell’America nella mostra a Palazzo Strozzi

by Michela Conoscitore

L’arte a Firenze è una questione seria. Tutta la società vi partecipa attivamente affinchè la cultura funga da volano per l’economia non solo della città ma di tutta la Toscana. Specialmente in questo difficile momento, enti pubblici e privati stanno collaborando sinergicamente non soltanto per confermare obiettivi già raggiunti, ma per aggiungerne di altri investendo sempre più nell’identità culturale toscana, per farne un brand competitivo a livello mondiale.

Questa era l’atmosfera propositiva e ottimistica che ha animato la conferenza stampa di presentazione della nuova mostra di Palazzo Strozzi, American Art 1961-2001, prima nuova esposizione dopo il periodo di chiusura pandemica, visitabile fino al 29 agosto. Palazzo Strozzi non ha mai abbandonato il campo, seppur gli scorsi mesi siano stati particolarmente sfidanti, l’allestimento di Marinella Senatore a dicembre e la scenografica La Ferita dell’artista francese J.R., visibile sulla facciata dell’ente museale fino al 22 agosto, hanno contribuito a non far abbassare l’attenzione su uno dei luoghi espositivi più importanti di Firenze e della Toscana.

Ora che si è tornati, finalmente, a frequentare i musei in presenza, il direttore generale di Palazzo Strozzi, Arturo Galansino, ha potuto finalmente presentare una mostra la cui gestazione ha occupato ben quattro anni di lavoro, condivisa dal direttore con uno dei nostri talenti più rari esportati all’estero, Vincenzo De Bellis, curatore per le Arti Visive al Walker Art Center di Minneapolis. È proprio dal museo statunitense che nasce questa narrazione spettacolare e imperdibile, un racconto che ripercorre il primato degli Stati Uniti nell’arte contemporanea.

Parafrasando la citazione di John Baldessari, uno degli artisti in mostra, Galansino ha affermato: “A Palazzo Strozzi non faremo mai mostre noiose”, sicuramente è uno dei segreti del successo del museo fiorentino che, negli anni, ha saputo spaziare dall’arte rinascimentale e moderna fino a quella contemporanea, cambiando pelle e offrendo ai visitatori la possibilità di esplorare molteplici mondi artistici. Le ottanta opere di American Art provengono dalla collezione del Walker Art Center di Minneapolis, il quinto museo per importanza degli Usa. La sua posizione ‘decentrata’ rispetto alle classiche rotte turistiche in America non deve ingannare perché è il museo culto per l’arte contemporanea nel mondo. “Il Walker Art Center dimostra che l’arte contemporanea non è settoriale ma multidisciplinare e che presenta vari livelli di lettura”, ha affermato il curatore pugliese De Bellis, “quella in mostra è una storia che solo il Walker Art Center poteva raccontare: storia dell’arte e storia dell’America, l’America non dei lustrini ma quella problematica”.

Il rapporto tra Firenze e gli Stati Uniti d’America è naturale”, ha affermato il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, in conferenza stampa, e la console americana a Firenze, Ragini Gupta, ha confermato questo legame speciale: “I turisti e gli studenti americani stanno tornando a Firenze. L’amicizia tra Italia e Usa, originata dall’immigrazione, turismo, scambi accademici, culturali e artistici ne esce sempre più rafforzata. I temi dell’esposizione sono ancora attuali e continuano a sfidarci”, ha proseguito la signora Gupta, “la mostra è viva, e ci spinge a contemplarla ed evolverci”.

Molte delle opere sono per la prima volta in Italia, e questo rende Firenze “Una capitale europea nell’arte moderna e contemporanea”, come affermato dal direttore Galansino. La società dei consumi, la contaminazione tra le arti, il femminismo e le lotte per i diritti civili sono le tematiche affrontate da American Art, in cui gli artisti esposti hanno fornito una rilettura del recente passato statunitense. Nel percorso di visita si procede in una scoperta cronotematica, come l’ha definito Galansino, dei momenti più significativi di questi quarant’anni di storia americana e delle opere che si sono fatte carico di quei specifici momenti storici e li hanno trasformati in arte. Il rinascimentale Palazzo Strozzi così nella sua natura cangiante, accompagna il visitatore nella metamorfosi delle sue sale iniziando con la prima, quando il presidente Kennedy era appena stato eletto e scoppiava la guerra in Vietnam. Protagonisti di questo spazio Mark Rothko e Louise Nevelson, europei provenienti dal circolo di Peggy Guggenheim. Dalla sala seguente si entra nel mondo della Pop Art, con l’imprescindibile Andy Warhol e il suo significativo Sixteen Jackies, ma non solo perché altre figure chiave di questa corrente artistica furono Roy Lchtenstein e Robert Indiana. Spazio poi per il Minimalismo e l’arte concettuale, da Frank Stella a Donald Judd, da Sol LeWitt a Bruce Naumann, l’arte diventa linguaggio principale per denunciare le brutture della contemporaneità, chiaro riferimento alla guerra in Vietnam. Quindi si spersonalizza e gli artisti scelgono di abbandonare il classico pennello e fanno ricorso ad altri mezzi comunicativi in performance che associano pittura, scultura, installazione e video come quelle iconiche di Naumann e John Baldessarri.

Gli anni Ottanta sono traviati dall’AIDS, di cui il governo conservatore di Ronald Reagan non si occupò, dando adito ad una politica omofoba. Mentre milioni di persone morivano senza essere ascoltate, le comunità artistiche risposero con le lotte per l’attivismo e la denuncia dello status quo in cui regnava l’orrore, la rabbia e la paura. Molti artisti come Robert Mapplethorpe e Felix Gonzales-Torres sono morti a causa della malattia, ma le loro opere testimonieranno per sempre quel difficile periodo vissuto dalla comunità gay. Le minoranze, una delle tematiche fondanti di American Art, che coinvolgono le donne e le comunità afroamericana e dei nativi americani, sono rappresentate dai lavori artistici di Cindy Sherman, Jimmie Durham e Glenn Ligon.

Giungiamo così all’ultima sala, nel frattempo gli Stati Uniti hanno subito l’attacco alle Torri Gemelle del 2001, e l’arte continua a non tacere: le opere di Kara Walker rileggono le grandi tematiche americane della schiavitù, le violenze fisiche e sessuali, le oppressioni attraverso collage e sagome nere che raccontano la violenza nei campi di cotone dell’Ottocento. La silhouette di Cut, un’immagine a grandezza naturale di una donna nera che si taglia le vene dopo essere stata violentata, conclude questo significativo percorso artistico con un’immancabile riflessione sul razzismo, ancora molto presente negli Stati Uniti, basti ricordare l’assassinio di George Floyd un anno fa, e le tematiche di genere.

American Art è anche una mostra inclusiva, molteplici le attività pensate per famiglie, bambini, persone malate di Alzheimer e Parkinson, soggetti affetti dai disturbi dello spettro autistico e disagi psichici e intellettivi.

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