“Una collezione unica che racconta la vita delle comunità etrusche”, Mario Iozzo racconta la collezione Passerini

by Michela Conoscitore

Molto spesso le collezioni d’arte appartenenti a famiglie di collezionisti non solo raccontano lo spaccato di un’epoca o l’operato di un’artista, allo stesso tempo narrano della famiglia che li ha acquistati, descrivono interessi, passioni, delineando poi il ruolo di quel nucleo famigliare nella tutela e conservazione di beni archeologici e artistici inestimabili. Quel che è successo con la collezione della famiglia Passerini, in mostra dal 29 ottobre presso il Museo Nazionale Archeologico di Firenze.

La famiglia Passerini, tra le più antiche della Toscana, ha legato il proprio destino all’arte e alla tutela di reperti archeologici etruschi provenienti non soltanto dall’area del Chianti, ma arrivando fino ad Arezzo e Siena. La presenza dei Passerini a Firenze è attestata già nel XII secolo, e giungendo all’epoca di Lorenzo il Magnifico, il popolo riteneva Silvio Passerini figlio naturale del mecenate mediceo. Il cardinale Silvio Passerini, infatti, crebbe alla corte dei Medici e, in seguito, si trasferì a Roma con Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo e Clarice Orsini, futuro papa Leone X.

Dai fasti medicei si arriva al detentore della collezione Passerini, esposta fino al 30 giugno 2021 presso il Museo Archeologico di Firenze: Napoleone Passerini figlio naturale, poi legittimamente riconosciuto, del conte Pietro già a quindici anni, nel 1877, si ritrovò proprietario oltre che di vari possedimenti sparsi in tutta la Toscana, anche della collezione archeologica che comprendeva pregiati reperti greci ed etruschi. Tuttavia la collezione, che constava originariamente di ben quattrocento vasi, senza contare gli altri manufatti e la parte costituita dall’oreficeria, subì vicende alterne e fu smembrata: parte rimase in possesso degli eredi Passerini, gli altri reperti furono accolti in musei esteri e di un’altra porzione si persero le tracce. Almeno fino al 2016, quando una benefattrice fiorentina contatto il Comando Carabinieri Tutela del Patrimonio Culturale di Firenze e consegnò ben ottantadue reperti che furono riconosciuti appartenenti alla collezione del conte Napoleone, e ritenuti perduti.

Finalmente, ben 293 reperti di quella collezione sono ora contenuti nel percorso espositivo ospitato nelle sale del Museo Archeologico di Firenze di cui il direttore Mario Iozzo, insieme a Maria Rosaria Luberto, archeologa della Scuola Archeologica Italiana di Atene, sono i curatori. La collezione Passerini, nella propria unicità, aggiunge tasselli importanti alla conoscenza della storia etrusca soprattutto per quanto riguarda la lingua, di cui sono rinvenibili numerose trascrizioni su vari manufatti della collezione.

bonculture ha intervistato il direttore Mario Iozzo per farsi raccontare la specificità di un allestimento così consistente non solo dal punto di vista quantitativo ma anche qualitativo, e del futuro che attende non solo il Museo Nazionale Archeologico di Firenze ma tutti i musei italiani, la cui fruizione è drasticamente mutata con la pandemia da Covid-19.

Direttore Iozzo, perché è così importante aver riunito la collezione Passerini qui all’Archeologico di Firenze?

Attraverso la collezione Passerini, già citata da varie fonti a partire dal 1875 in poi e quindi da ritenersi storica, sono passati vari capolavori che oggi sono conservati nei musei di New York, Los Angeles, Baltimora, Boston e Gerusalemme come anche in collezioni private di nobili fiorentini e delle zone circostanti. Ma quel che la rende unica è che il conte Passerini recuperò personalmente i reperti perché alcune aree del suo giardino nascondevano delle vere e proprie necropoli etrusche come il parco della villa di Bettolle, o in altre sue proprietà. Acquistò anche dei pezzi d’antiquariato dagli scavatori operanti nella vicina Foiano della Chiana. Il valore aggiunto della collezione è che non si tratta di materiali totalmente decontestualizzati perché provengono da un unico ambito geografico e culturale, ovvero quello delle comunità etrusche che erano sotto il controllo economico, politico e culturale di Chiusi. I reperti più antichi appartengono al VI secolo, e attraverso queste opere siamo in grado di vedere le scelte che quel dato gruppo di etruschi ha portato avanti.

Come state gestendo l’emergenza Covid qui al Museo Archeologico?

Inizialmente questa mostra doveva essere inaugurata a maggio, però dopo aver superato qualche difficoltà e con grande attenzione, lavorando da casa per quanto riguarda la parte grafica, le schede dei reperti e la redazione del catalogo. Visitando la mostra, e le altre sale del nostro museo, forniamo igienizzante, ed è obbligatorio l’uso della mascherina e l’osservanza del distanziamento sociale. Anche se per mancanza di personale, non riusciamo ad essere aperti per tutta settimana e questo già prima del Covid: giovedì pomeriggio, venerdì e sabato mattina a cui si aggiunge la prima domenica del mese. Nonostante questo, abbiamo moltissimi visitatori.

Le difficoltà del periodo sono notevoli per i musei, quindi la proposta del direttore del Museo Etrusco di Villa Giulia di Roma, Valentino Nizzo, incontra il suo favore per quanto riguarda la costituzione di un museo diffuso che colleghi tutti gli spazi espositivi su territorio nazionale dedicati agli etruschi?

Il progetto del direttore Nizzo è corretto: ovvio che se riuscissimo a costruire un network che prevede il coordinamento delle visite e una bigliettazione unica che raggruppi, per esempio, i musei di Roma, Arezzo, Viterbo, Firenze, Chiusi e altri sarebbe un arricchimento per i visitatori e un circolo virtuoso per gli enti culturali.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.