EY Capri, le persone al centro di un nuovo Rinascimento

by Claudia Pellicano

Le persone il tema al centro dell’ultimo giorno di EY Capri, il convegno Ernst&Young che quest’anno deputa uno spazio particolare alla trasformazione del lavoro e alla rilevanza dell’istruzione per la formazione delle nuove competenze.

Il minimo comune denominatore del dibattito è costruire il nuovo senza combattere il vecchio, avvalendosi di tecnologie che mettano sempre e comunque al centro il fattore umano e il ruolo delle persone.

Le imprese italiane si trovano a fronteggiare diverse sfide: la prima è la valorizzazione del capitale umano; la seconda è generazionale: la società non tiene il passo con le trasformazioni tecnologiche. È necessario investire in formazione e welfare, aumentare l’efficienza e il benessere nelle aziende in un’ottica di sostenibilità più inclusiva, ragionando in termini di responsabilità verso tutti.

In un mondo sempre più interconnesso, in cui beneficiamo di un progresso senza precedenti, i processi di trasformazione non devono essere temuti, ma compresi, come spiega Ian Goldin, già consigliere di Nelson Mandela, direttore dell’Oxford Martin School e autore di Nuova età dell’oro: guida a un secondo Rinascimento economico e culturale.

Quello a cui assistiamo è una rabbia crescente da parte dell’opinione pubblica, che teme gli effetti della globalizzazione. Le variabili in gioco sono più numerose, l’incertezza è maggiore e il nostro futuro interdipendente da quello degli altri Paesi, ma Goldin interpreta questa rivoluzione sociale come la premessa per una nuova rinascita.

L’incredibile diversificazione di Firenze, per restare nella similitudine, ha contribuito al progresso; eppure, se pensiamo a Savonarola, o a Lutero, questa diversità venne repressa, non tollerata. Il Rinascimento, oltre a uno straordinario fermento culturale, conobbe il falò delle vanità; ai sermoni di Lutero, seguì l’Inquisizione.
Oggi continuiamo a celebrare la grandezza del Rinascimento, ma, per gestire meglio l’attuale rivoluzione, occorre ricordarne anche i fallimenti.

La tecnologia non è in grado di risolvere tutti i problemi, pone anche delle minacce con cui fare i conti. Soltanto per fare alcuni esempi, la genomica solleva delle questioni etiche importanti. La crisi delle banche è dovuta anche alla tecnologie. Permangono un divario retributivo tra generazioni e grandi sperequazioni in termini di ricchezza mondiale. Dobbiamo domare il mercato in modo che diventi sostenibile, e regolamentare lo sfruttamento delle risorse naturali. Con il cambiamento climatico, tutto questo diventa sempre più pressante.

Se le persone vedono la tecnologia come una minaccia, ne prenderanno le distanze, ma, poiché siamo noi i padroni della tecnologia, siamo in grado di capirne e trarne il meglio. È un’ottima cosa che il mondo non sia più guidato da «una dozzina di uomini che fumano il sigaro», ma abbiamo ancora bisogno di una governance globale. Se c’è una lezione da imparare dalla rabbia è che dobbiamo gestire meglio le trasformazioni di un mondo complesso. La scelta è tra un futuro distopico e un nuovo Rinascimento che crei soluzioni e condivisione, in modo da evitare un’ulteriore destabilizzazione.

Non bisogna temere le difficoltà,  che possono costituire una risorsa e il presupposto per una riflessione, come racconta Anna Zanardi Cappon, International Board Advisor, la quale prende a modello la vita di San Francesco per raccontare una storia di crisi e di leadership. Il primo leader ad aver fondato un’organizzazione sulla base delle povertà è stato il santo d’Assisi, che rivoluziona la propria vita proprio in seguito ad una crisi personale. Zanardi spiega come questo genere d’esperienza sia fondante per il nostro stile di leadership. È la generazione dei cosiddetti “babyboomers” a vivere la crisi come una cosa transitoria, quelle a seguire ne fanno un elemento d’identità, parte dello sviluppo e della crescita. Questa nuova mentalità cambia anche la visione del leader, che deve imparare a riconoscere e integrare le trasformazioni. A volte si ha la percezione che vada tutto bene, mentre, in realtà, viviamo nell’immobilismo, in una crisi congelata. Altre volte si crea la crisi fatale, distruttiva e repentina, che divampa prima che se ne riconoscano i sintomi. All’inizio di una crisi fatale,  si ha la sensazione che quello che c’era prima fosse sbagliato, e che le cose possano effettivamente cambiare in meglio. Ma la storia va anche un po’ onorata, curando quell’analfabetismo emotivo che ci impedisce di fare  conti con le nostre responsabilità, di integrare i cambiamenti e, di conseguenza, di riappropriarci del potere.

Il modo per trasformare i momenti di crisi e volgerli al meglio consiste nel diventare più autentici con se stessi. Guardare alla nostra impermanenza, pensare all’eredità che lasceremo, portare nella leadership un’unicità e un valore nostri e trasformativi. Occorrono unicità, coraggio, e l’umiltà per consentire alla vita di insegnarci qualcosa. Per diventare leader migliori e valorizzarci dovremo sapremo guardare dentro noi stessi e realizzare ciò che ci rende diversi gli uni dagli altri.

E, se è vero che sono le persone a definire il successo di un’azienda, occorre colmare il divario tra educazione e lavoro: non sempre l’apprendimento è funzionale alle sfide lavorative. L’educazione ha lo scopo di fornire quello di cui un essere umano ha bisogno, ma le molte lacune, tra cui l’inadeguata competenza digitale, sussistono in tutto il percorso educativo. Per Rod Bristow,  Presidente della Pearson UK, l’obiettivo è chiudere il divario, ma senza rimettere l’intera responsabilità ai lavoratori. Deve trattarsi di uno sforzo condiviso, dai dipendenti, dai governi, dalla scuola, dal settore privato.

Una delle maggiori preoccupazioni rispetto al futuro è che l’intelligenza artificiale sottragga impiego, ma una ricerca condotta dallo stesso Bristow sostiene che il lavoro verrà semplicemente cambiato dalla tecnologia, e che molte delle attuali posizioni, specie quelle che richiedono una forte impronta umana, saranno ancora richieste.

L’istruzione rimane fondamentale nella formazione dell’identità di una persona, e tuttavia la fiducia nell’educazione tradizionale sta declinando. C’è domanda di un’istruzione continuativa, diffusa e flessibile, che crei incentivi per l’apprendimento, e di politiche d’investimento nel settore educativo, il primo a soffrire di tagli quando i tempi sono difficili. Dobbiamo pensare con lungimiranza all’istruzione e vederne il ritorno anche in termini di investimento.

Dello stesso avviso Sabina Nuti, Rettrice della Scuola Superiore Sant’Anna, che mette al centro del discorso la mobilità sociale e il merito. L’Istituto è sempre in posizioni apicali nel sistema educativo, e le capacità dei ragazzi richiedono agli insegnanti di essere sempre al passo. Ma si tratta di un contesto eccezionale. Nella maggior parte dei casi, prosegue Nuti, le scuole non riescono a dare una formazione integrativa e interdisciplinare. Abbiamo un ascensore sociale che va indietro, una percentuale piccola di laureati, un problema di fiducia collettiva. A questo proposito, l’Istituto Sant’Anna ha messo in moto un progetto di mobilità sociale andando a cercare ragazzi di talento in zone difficili, laddove l’abbandono scolastico è alto. Permane un problema nel problema: anche i diplomati con voti alti, quando non hanno una famiglia d’origine che li sostenga, non vanno all’università.

Gli allievi di Sant’Anna hanno fatto da mentori per questi ragazzi, che hanno poi scelto di iscriversi all’università.
Bisognerebbe mettere costantemente in pratica l’effetto Rosenthal (o effetto Pigmalione), la tesi secondo cui uno studente interiorizzerà la fiducia e il giudizio che gli riservano gli insegnanti, e agirà di conseguenza. In sintesi, una calorosa accoglienza fa la differenza nella capacità di successo; la questione è se sappiamo essere un sistema che dà una calda accoglienza e fa emergere il talento.

Il nuovo Rinascimento richiede una cambiamento nella visione dell’umanità, che metta le persone al centro di tutto. Per guardare al futuro con strategia, come il David di Michelangelo, pronto alla sfida.

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