“I social possono diventare una nuova agorà”: Matteo Saudino racconta il fenomeno Barbasophia, la maturità e la scuola del futuro

by Gabriele Rana

Può un professore, filosofo, youtuber e scrittore rientrare nella definizione di eclettico? Matteo Saudino con il canale Barbasophia, che raccoglie 100.000 iscritti, la pubblicazione di due libri e un ventennio di insegnamento alle spalle, sicuramente può rientrare a pieno diritto in questa definizione. Da anni, ormai, Youtube non è più solo un luogo di intrattenimento ludico, ma una piattaforma che permette una ricca e variopinta divulgazione culturale. E il professore, in ambito filosofico, è uno dei più noti divulgatori.

bonculture ha intervistato Matteo Saudino per parlare di divulgazione sul web, della sua didattica a distanza e della Maturità 2020.

Com’è nato il canale Barbasophia?

Quasi per gioco cinque anni fa. Durante le olimpiadi di matematica in un liceo scientifico mi sono trovato a fare lezione a una classe dimezzata e, per questo motivo, ho deciso di registrarmi per dare la possibilità anche agli assenti di recuperare la spiegazione, che tra l’altro era su Pitagora. Quando mi venne consigliato da un alunno di caricare il materiale registrato su Youtube, perché più facile da raggiungere dagli alunni, ho iniziato a caricare una lezione a settimana. Un anno dopo, in un’altra scuola, quando mi presentai alla classe un ragazzo mi ha chiesto “Lei fa video su Youtube, vero?” e ho capito che il canale era diventato veramente grande.

Quindi le capita di incontrare alunni che già la conoscono?

Ormai sì, con un canale di 100.000 iscritti è facile che mi riconoscano anche per strada. Anche quando viaggio per l’Italia, per motivi personali, mi fermano e mi salutano, alcuni con grande affetto mi ringraziano. Ogni gesto di ringraziamento è un motivo di gioia che mi stupisce e che mi fa sperare che il senso di humanitas e di contatto sociale tra gli uomini possa prevalere sul cinismo e sull’egoismo.

Nell’introduzione al suo libro “La filosofia non è una barba” descrive la filosofia come una meravigliosa ortica: pungente, ribelle e inutile. Ha già spiegato che la sua “inutilità” è data dalle domande che questa si pone, infruttuose nel calcolo utilitaristico della vita. Può il web, nello specifico Youtube, altro luogo considerato da molti inutile, diventare  la nuova agorà per lo sviluppo del dibattito filosofico? O lo è già?

Io penso che i social siano degli strumenti, così come tutte le invenzioni della storia dall’aratro al telefono. Uno strumento non è mai neutro, dipende dal tipo di utilizzo che se ne vuole fare: assume valore e direzione proprio in base a questo. Una zappa può essere utilizzata per dissodare il terreno e, allo stesso tempo, può essere utilizzata per ammazzare il tuo vicino di casa. I social quindi raggiungono il fine che l’utilizzatore vuole dare loro, anche se sono molto persuasivi e spesso sembra quasi che siano loro a guidarti. La cosa importante, per poterli sfruttare in maniera intelligente, è la consapevolezza dello strumento: bisogna conoscere bene come funzionano e chi li gestisce. In questo modo ci potrà essere un dibattito sano, con la diffusione di diverse idee positive di cultura e campagne sociali, evitando invece la diffusione di fake news. Detto ciò, io penso che i social possano diventare una nuova agorà.

Spesso però i commenti ingiuriosi e le pubblicazioni offensive risaltano di più dei commenti e dei dibattiti costruttivi.

Anche in un’agorà fisica, ipoteticamente, il dibattito può essere interrotto da un uomo armato che con la violenza può imporsi sugli interlocutori, ponendo fine alla democraticità della discussione. La stessa cosa accade su Youtube, perché i cretini e i violenti sono ovunque, sui social loro sono anche anonimi, ma penso che non bisogna fare come Ned Ludd e attaccare  la macchina tornando indietro, non si può. Bisogna guardare avanti e sfruttare gli strumenti a disposizione e questi devono poter essere utilizzati nel modo migliore e nella maggiore democratizzazione possibile. Alcuni dicono che questa sia impossibile, forse hanno anche ragione perché la tecnologia è nelle mani di pochi, ma il mio compito è quello di trasformarla in una democrazia. Sono un forte sostenitore dell’utilizzo dei social, se usati in modo consapevole e con il rispetto della democrazia, per la diffusione della cultura al più vasto numero di persone, essendo io contrario alla cultura che si chiude in se stessa.

Lei insegna filosofia da vent’anni e molti dei suoi video sono registrazioni delle sue stesse lezioni. In questo modo è riuscito a spiegare la filosofia a un numero di persone (non solo ragazzi) superiore a quello raggiunto da un qualsiasi suo collega a fine carriera. Già sfruttava il materiale caricato su Youtube nella didattica dal vivo prima degli ultimi tre mesi? Come ha vissuto quest’ultimo periodo di insegnamento?

Per me Barbasophia è una cassetta degli attrezzi per permettere a chiunque di potersi avvicinare alla filosofia e avere gli strumenti, le conoscenze e le competenze per poter decodificare la realtà. Le mie videolezioni sono uno strumento, non sono la didattica a distanza, ma possono servire a questa e anche a quella in presenza come rafforzativo: uno studente che si trova indietro con le spiegazioni o che vuole approfondire un dato argomento, può guardare uno dei miei video. Un video però non può sostituire l’insegnante, perché è quest’ultimo a fare la didattica, è lui a dare gli strumenti e a educare al loro utilizzo. Già prima davo ai miei alunni i video per approfondire le spiegazioni che facevo in classe, e la stessa cosa ho continuato a fare a distanza. Barbasophia non l’ho mai visto come un fine, ma come un mezzo.

Quali sono stati i pro e i contro della didattica a distanza? Può diventare una nuova realtà anche per le scuole superiori, non solo per le università? È davvero così fondamentale il contatto fisico per una buona spiegazione?

La didattica a distanza non deve diventare la normalità. Fino alle superiori deve rimanere un’eccezione. L’insegnamento è fatto da un rapporto tra maestri e alunni in presenza e tale deve rimanere. La classe poi è una comunità fatta da rapporti interpersonali, abbracci, sorrisi, sguardi e la didattica a distanza non potrà mai sostituire tutto questo. L’unico pro è che ha permesso di dare una continuità ai programmi in un momento di emergenza, i contro però sono tanti. Per prima cosa questo tipo di insegnamento è classista, non tutti possiedono i mezzi adatti per poterlo seguire, a cominciare da una connessione a internet scarsa, poi se già in classe alcuni ragazzi si estraniavano, in questo modo si sono persi completamente. Bisogna anche contare che questo è un modo per risparmiare sulle spese per la scuola: pagare meno gli insegnanti, diminuire il numero di laboratori, meno mezzi e meno sussidi. Se la didattica a distanza verrà ampliata, sarà solo per comprimere i risparmi al massimo, non per veri intenti pedagogici. Ho una visione totalmente negativa da questo punto di vista: al potere non interessa l’insegnamento, infatti pochi sono gli investimenti per l’istruzione e dietro all’esaltazione della didattica a distanza c’è solo finanza e poca pedagogia.

Come risponderebbe a chi, come Alessandro Sallusti, afferma che questi tre mesi per gli insegnanti sono stati un periodo di vacanza?

A Sallusti non vorrei neanche rispondere, è un direttore macchiato da insulti omofobi e contro la religione islamica, non lo considero un interlocutore perché manca di onestà intellettuale. Con i disonesti è inutile dialogare. Se dovessi rispondere ad Alessandro Sallusti gli direi di provare a fare l’insegnante, per comprendere l’impegno che ci vuole, per un salario minimo, nell’educare gruppi di trenta ragazzi e bambini: scapperebbe dopo pochi giorni.

Sul web si è sviluppato un movimento che ha portato gli studenti (e non solo) a riunirsi sotto l’hashtag #lascuolasiamonoi e a manifestare il 5 giugno sotto la sede del MIUR per le decisioni prese sugli esami di stato 2020. Andava data importanza alla voce dei giovani durante tutto questo periodo e per gli esami? Sono risultati come vittime passive di questa situazione?

Gli studenti, come sempre, non sono stati presi minimamente in considerazione. Quando ci sono riforme o decisioni per la scuola gli studenti e gli insegnanti non vengono consultati e poiché sanno che questi hanno una propensione alla protesta molto bassa, tutte le decisioni vengono prese sulla loro testa. Questa maturità non andava fatta perché non c’erano le condizioni per preparare al meglio i ragazzi, bastava tradurre la media in un voto, dando l’opportunità al consiglio di classe di dare agli alunni un bonus di cinque punti. Fare l’esame in questa modalità è ridicolo so già quanto valgono i miei  alunni e il loro impegno. È soltanto un rito, una facciata per salvare la forma dell’esame e della scuola, ma questa non è forma: è sostanza. La scuola è l’unico luogo in cui si può realmente provare a realizzare un’emancipazione sociale, solo lì si possono appianare la divisione tra classi, tra ricchi e poveri, solo lì qualcosa può cambiare.

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