La lingua inattaccabile di Davide Grittani, scrittore da purgatorio felice

by Giammarco Di Biase

Casa Grittani. Un profumo intenso, inequivocabile, nella scalinata al nono piano, subito dopo essere uscito dall’ascensore, prima di entrare in questa reggia, in questo dedalo sognante, ma pur sempre dolente, in questo covo di bracconiere, cacciatore (non di frodo) di libri.

Prima della presentazione del suo ultimo libro Martedì 3 Maggio da Carlito’s alle 19.30 grazie all’associazione “Libertà Civile” di Alessio Lusuriello, Bonculture e io entriamo in casa sua, sono pronto a tutta quella che può scenograficamente rappresentare idealmente la dimora di uno scrittore. Sì, le pareti di Davide Grittani sono libri. Sarà perché vuole nascondere sotto librerie crepe, ricordi parassitari?

“La bambina dagli occhi d’oliva” non è più un ricordo di lettura di poche settimane fa con annessa critica letteraria, è un animale pulsante, un fantasma ricoperto in sostanza da Eneide, Mazzantini, un museo, un palinsesto di scrittori vivi e morti, passati, sopiti, discutibili come tutta l’arte e non.

Sarà che questi fantasmi, questi fantasmi tra dono e senso di colpa donano a Davide stesso, ingombranti come sono, lui li porta con maestria, severità e sostanza (o forse no?)

C’è che Davide prepara il caffè, uomo infeltrito eppure giovanile, con tutto il fascino delle sue opere, felpato e fedele a Buzzati, gatto affannato che però ha ancora una grande voglia di saziarsi e scattare (quando me te lo aspetti).

Tutto c’è a casa sua tranne lo spavento. Non lo annusi, non ti accarezza sporgendoti al precipizio. Grittani è un temerario, un uomo di sapienza, uno che ha coraggio.

Ha qualche vezzo? Un carattere narcisistico di sottofondo ai Pink Floyd e a Chet Backer? No assolutamente no, solo le sue due opere ultime, racchiuse in un due teche quadri separate l’una dall’altra…come fosse un ritratto Dorian Gray, gli stanno rubando giovinezza o lo stanno fortificando?

Amo le poesie, con me Davide Grittani è sempre gioviale, mi regala un libro di poesie di Roberto Masi, poeta fiorentino, “Si dissolva l’opaco” Ensemble edizioni.

Da uno scrittore ti devi aspettare che sia inattaccabile

“Mi presti un libro leggero? Mi fai leggere un libro leggero?”

“Ho scritto “La bambina dagli occhi d’oliva” e “La Rampicante” pensando di ergermi contro una certa cultura del disimpegno. Non è presunzione ma severità, è rigore, quello che manca ai gialli di oggi, macchina che sforna e plasma senza un pensiero collaterale intelligente. Non sono contro al genere stesso che ha dato vita a capolavori irraggiungibili: i gialli più potenti parlano dell’Italia dilaniata dal delitto e dalla mafia, macchiati di vivere quotidiano, un vivere che io accarezzo su muri scoperti per tranciare cuori. La mia ultima opera può aver preso dal genere, dalla cronaca nera reinventata, quindi dallo stesso noir e dallo stesso giallo. Il thriller sventra il buon costume, parla di noi come dei mostri: una rivoluzione necessaria del sentire dei nostri tempi. I gialli di oggi non fanno questo, assomigliano ad un brand deficiente, perdono di forza e sono capienti nel degrado, non utilizzano bene lo strumento della paura e del dissesto. Sono conciliatori, e io non scrivo libri conciliatori”

La lingua salvata

“Sono uno scrittore che investe di continuo sull’utilizzo di una lingua, una lingua che si forgi sull’inattaccabile. Una lingua investimento, una lingua inattaccabile è quella di Michele Mari. Cerco sempre di creare segni, capienze furibonde e piene nella parola stessa e nella pagina che facciano di me un alfabetista che crea sull’analfabetismo. Cerco di essere a tutti i costi un grammatico nuovo, cerco la parola sempre: che sia una parola personale, una silloge rivisitata, un canto univoco nel coro, una nota profondamente dirompente che comunichi il diverso”.

I miti arrabbiati di Grittani

“Sonostato sempre un ragazzo arrabbiato con il mondo, furente. L’Italia ha dimenticato la letteratura del secondo Novecento, soprattutto verso la sua fine. Continui scandali hanno rotto il nostro Paese, gli anni di piombo, Tangentopoli, Mani Pulite, quindi inchieste giudiziarie, l’hanno tranciato in due.

L’Italia vive un profondo trauma con la letteratura degli ultimi cinquanta anni prima del duemila. Ci siamo risvegliati dal trauma immuni dal ricordo, come la protagonista del mio ultimo libro “La bambina dagli occhi di oliva”. Abbiamo dimenticato Ortese, Landolfi, Giuseppe Berto e il suo male oscuro, abbiamo dimenticato Gadda.

 Ero arrabbiato, forse come nella consuetudine di tutti i giovani della mia generazione. Dimentichiamo per disprezzo, per cautelarci, per difenderci, anche e soprattutto annaspando sulla bellezza di quegli anni. Quegli anni quando imparai a leggere Buzzati, Un Amore, un libro che ho amato quasi quanto tutta la letteratura di Marquez, che resta il mio scrittore preferito, colui che ha contribuito al mio mestiere di scrittore. Il suo realismo magico è stato accantonato dopo anni di tanta sazietà: mi piace pensare che nei miei libri ne viva ancora tanto di realismo magico italiano come era in un’altra parte di mondo quello colombiano e messicano per Marquez”.

Contro (?) i miei romanzi del passato

“Sono profondamente critico nei confronti dei miei scritti passati. La mia opera precedente, candidata allo Strega 2019, “La Rampicante”, ha una storia forte, un continuo susseguirsi di racconto puro, colpi di scena (sono sempre vicino al genere ma lontano dal significato che se ne da oggi), volevo scrivere un’opera sul dono, sul dare e il ricevere in cambio, sulla fraternizzazione di questi due termini, di questi due verbi, sempre più lontani. Siamo una civiltà che non dice grazie, non siamo mai riconoscenti, anche quando quella riconoscenza, quel dono, sono organi che ti restituiscono alla vita.

La mia scrittura qui è ancora tecnicamente fallibile, per questo amo tanto il mio ultimo libro “La bambina dagli occhi di oliva”: presumo racconti una storia pur sempre unica ma meno densa di accadimenti dell’opera precedente, però tecnicamente migliore nella ricercatezza della parola (come dicevo prima):  mi piace giocare con la parole, osare nei righi delle mie frasi, fare fuochi d’artificio, venire a patti con la parola mai fuori posto tra gli spazi.

Vesto le mie parole, un agonismo divertente sul momento, che però non ha niente dell’intrattenimento superficiale. Voglio che i miei scritti si leggano tutti di un fiato, per poi ritornare pagine indietro e rimanerci lì sopra ancora addolorati, ferite. Non è artificio, la parola più è vicina alla perfettibilità più riesce nello sventrare”.

La bambina dagli occhi d’oliva

Ne “La bambina dagli occhi d’oliva” racconto di uno stupro, di pedofilia, ma al centro del mio discorso  come ne “La rampicante” era il dono qui è il senso di colpa.

Soprattutto nel rapporto dei due protagonisti, finemente tratteggiati come femmina e maschio, sessualizzati fino allo stremo, erotizzati come animali selvaggi in cerca di sete più che assetati, sporchi: vivono nella speranza in tutte le pagine del mio libro che ho dedicato ad una vita addolorata come quella di Dolores O’Riordan, massicci, pesati da sofferenze, con il petto piegato.

Il profumo di lei è un buco nero nell’infanzia e i suoi occhi sono l’ultimo battito, le vittime del gioco del lavoro di lui, il protagonista, proprietario di una saletta dove si abusa, dove la gente è drogata da schedine e corse. Tanti pesci e tanti squali, lacerati dal vuoto, dalla colpa, sono i protagonisti del mio ultimo libro. Tutto nel mio libro è dissesto, un fuoco d’artificio fino alla perfezione dello scandalo.

Vivono la vita in un purgatorio felice, sanno che respireranno per ricompensarsi, ma mai completamente, perché prendono strade diverse. C’è chi perdona e chi muore e chi agonizza per sempre, consapevole però di un ultimo gesto altruistico e di grazia.

Come vive uno scrittore in questa città

“Misento più pugliese che foggiano. Foggia è una città innaturale, dove scossa e delusione le sento di continuo: sono un uomo che viaggia, un uomo radicato nella terra ma sempre in movimento su di essa.

Amo l’Italia, amo guardare il mare ma anche cambiare bussola, verso est, dare spalla alla spiaggia.

In Foggia sento più forte che in altri posti un “annullamento del senso del nostro Paese”. Non sento l’urgenza dell’accoglienza che ritrovo sempre nei miei personaggi disperati.

E’ una città che ti sa cacciare e ti dimentica, piena di ferocia, antiestetica.

La amo molto con dolore, la odio con timidezza oltraggio e vergogna. Sa essere eternamente generosa come le braccia di una madre matrona, ma non così grata come vorrei”.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.