Agharta, il romanzo distopico femminista di Orione Lambri. «Le donne, da esseri superiori, salveranno l’umanità»

by Mariangela Cassano

Agharta è il primo, e non sarà l’ultimo, romanzo di Orione Lambri. Un romanzo distopico che ti affascina per l’attualità, che ti stimola per la complessità e che ti cattura per la scrittura che ti accompagna in un viaggio di scoperta.

Un romanzo femminista, un omaggio alle donne, eroine del mondo che salveranno l’umanità.

Anno 2012. L’economia mondiale è in crisi, mentre catastrofi, sommosse e un’ondata di suicidi devastano il pianeta. Tutto sembra voler presagire l’Apocalisse Maya prevista per il 21 dicembre, quando il mondo finirà nello schianto di una cometa. Le religioni androcentriche non sono in grado di offrire una via di salvezza come invece promette di fare il nuovo gioco AGHARTA, una neurosimulazione interattiva di massa che conquista subito migliaia di giocatori.La testimonial e guida del gioco è Cassiopea, una pornostar la cui scomparsa avvenuta anni prima è avvolta nel mistero. Jane Stuart Mill è tra le prime a provare il gioco che riproduce fedelmente scenari del mondo reale e in cui tutto viene governato dall’energia chiamata Vril. Ben presto però Jane si renderà conto che l’esperienza che sta vivendo ad AGHARTA è molto più reale del reale. I sogni premonitori che vive nel gioco la condurranno da Klandestina e insieme dovranno riuscire ad aprire la strada verso nuove realtà, perché in questo mondo ormai il re è nudo. L’unica speranza è la regina.”

1.Come nasce l’idea del tuo romanzo distopico e polifonicoche ha impiegato ben 12 anni per venire al mondo?

Un pomeriggio piovoso di novembre, di almeno quindici anni fa, me ne stavo mezzo appisolato sulla scrivania dell’agenzia di comunicazione bolognese in cui da qualche anno facevo pratica come copywriter. A un certo punto, di getto, mi son messo a scrivere:

E dire che era evidente. Bastava fare due più due. Invece per molti anni rimase un mistero. Quasi un mito o, peggio, una gag per maschietti disincantati. Autoironia di genere. Quella speciale solidarietà fra femmine non aveva nulla di razionale, andava in automatico. Fluida. In ogni circostanza spuntava fuori, come un riflesso condizionato, la gamba che scalcia dopo che il martello ha picchiato sul ginocchio. Una istintuale propensione a proteggersi, a credersi. E a considerare sempre i maschi una controparte, avversari o nemici a seconda del grado di giacobinismo. Per tanti anni tutto questo rimase una gag per dominatori e una forma di solidarietà per le dominate. Dopo il femminismo, la consapevolezza di genere mutò, senza bisogno di proclami. In poco più di trent’anni la ‘parità tra i sessi’ aveva fatto il suo tempo e le donne cominciavano a ricordare. Di essere superiori. Non nel senso hitleriano, non ‘migliori’, solo più contemporanee. Più adatte ai tempi. Nell’epoca in cui la posta in gioco era l’estinzione o la conservazione della specie, solo le donne avevano i numeri, la sensibilità e il background per farcela. Trenta e passa secoli di potere maschile erano lì a testimoniarlo: guerre, ingiustizie, ecocidi e genocidi. Il punto di non ritorno si avvicinava pericolosamente e la nuova sensibilità aveva qualcosa di primordiale. Il genere umano era come un animale ferito e le donne il suo istinto di sopravvivenza. La follia del potere, il fattore maschile evolutivo, stava conducendo a tutta velocità il vecchio mondo sul precipizio. La sindrome del suicidio dilagava: ancora guerre, ancora ingiustizie, ancora denaro. Il tempo era il tiranno di dominati e dominatori, che non riuscivano più a trovare il bandolo della matassa. Sì, perché alla fine fu questo il vero motivo: nessuno capiva più il perché. Tutto ciò che accadeva, ogni bambino che moriva di fame con la pancia gonfia come un palloncino, ogni foresta distrutta, le mine antiuomo, qualunque crudeltà perpetrata non avevano più senso. I dominatori erano infelici.”

Vivevo ogni giorno con davanti l’esempio di Vanessa, l’inno al femminino che incarnava col suo corpo e le sue azioni – come lo spettacolo teatrale “Vagina Sapiens”, l’educazione sessuale al femminile per centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi su Studenti.it – e di tante ragazze e donne che mostravano sempre di più come il genere non era, non era mai stato, non sarebbe mai potuto essere neutrale. Ebbi una certezza: il cambiamento doveva passare dalla rivoluzione di genere, pareggiare il conto di tre millenni fa, quando il patriarcato aveva soppiantato le femmine al potere senza troppi complimenti.

Agharta è un inno alle donne, che rappresentano la speranza contro la paura. Possiamo dire che le donne hanno il timone in mano e sanno dove andare mentre invece gli uomini sono lì a guardare il tramonto. Possiamo definire il tuo libro femminista?

Alcune “bookstagrammer”, che hanno curato la recensione del libro su Instagram e sui loro blog, hanno coniato per AGHARTA la definizione di “romanzo distopico femminista”. Io mai mi avventurerei nel definirlo in tal senso: sono un maschio, conosco le femministe e ci tengo alla pelle. Poi, certo, la protagonista Cassiopea – a cui è dedicata la copertina realizzata da Vanessa Zanzelli in omaggio alla “Madre del Mondo” di Nicholas Roerich del 1937 – come la grande pornostar italiana a cui è ispirata si sarebbe definita femminista, nonostante le puriste del termine. Nel romanzo i miei compagni di genere stanno lì a rimirare il tramonto proprio e del mondo, nella postura decadente tipica della società politica parolaia incapace di cambiare che ben conosciamo, e il timone è saldamente in mano alle Guerriere dei Sogni, le eroine che “muovono guerra al mondo intero come colui che ha cento navi in mare”, dal fondo del sottosuolo virtuale del gioco AGHARTA.

Non sono molto diverse da Greta e compagne, dalle leader dei gruppi spontanei di adolescenti, dalle ragazze e dalle donne che combattono per avere un futuro: la metafora è scoperta, davanti allo spettacolo dei cravattoni perennemente impotenti la speranza non può che essere donna.

Il tuo libro è molto denso, ha dentro tanti anni di pensiero, di vita, di riflessione. Tanti personaggi e tante storie. In quale dei protagonisti ti riconosci maggiormente?

Helmer Pellacani è quello che conosco meglio: il cronista del declino. Figlio bolognese del cinismo, della disillusione, del diluvio di aperitivi che in tre decenni si sono portati via il mito del Partito, del movimento, persino dei biassanot (i “masticanotte”, tiratardi in dialetto). Goffredo Poiana è ispirato ad un grande giornalista romano, sempre sopra le righe, che amo da sempre. Francesco Boccia è un mio vecchio amico, il prof Adamo… beh… era un folle, grande professore.

Li conosco bene tutti, i maschietti, ma la verità è che io mi riconosco in Cassiopea: anzitutto per il nome, mi sarei chiamato così, fossi nata femmina (mia nonna me lo ricordava sempre inorridendo), poi per le scelte che non importa quel che implicano. Bisogna seguire le proprie mollichine.

Ci parli del tuo prossimo progetto letterario?

Ne ho due. Il primo l’ho, o meglio l’abbiamo, appena finito di scrivere. Mio figlio Leonida ed io. Si chiama “I Diari dell’Alba. Bologna, l’Italia e gli Arcelli tra il 1919 e il 1945” e si tratta della storia della famiglia di mia nonna, tra le due guerre mondiali: contessa, figlia di un nobile decaduto, socialista renitente la tessera del fascio, e protagonista di una saga familiare che assomiglia più a un naufragio. Bologna e l’Italia raccontate in prima persona da un’inviata speciale del passato: la paura, la miseria, la solidarietà, quello che si mangiava, l’attentato a Palazzo D’Accursio e la Liberazione con la stessa prosa fotografica di un film storico. Quando abbiamo cominciato a scrivere Leo, che batteva sulla tastiera mentre io leggevo, aveva otto anni e faceva molte domande. Così i diari sono inframmezzati di rimandi all’attualità, grazie alle curiosità di chi dovrà farsi custode della memoria.

Il secondo l’ho appena cominciato ed è il sequel di AGHARTA. Sarà ambientato nel 2030, diciotto anni dopo, con molti degli stessi personaggi e l’apocalisse climatica come tema chiave.

Per concludere, una citazione che esprime il senso di questo tuo viaggio di scoperta attraverso la scrittura?

AGHARTA è un romanzo sul tempo e sul suono, che sono alla base del mistero esistenziale ben rappresentato dal “God’s Chorus of Crickets” di Jim Wilson, che nel 1992 aveva rallentato di 280 volte il canto dei grilli, per pareggiare il ciclo vitale con gli umani, ottenendo un vero e proprio coro ecclesiastico:
https://soundcloud.com/acornavi/jim-wilson-crickets-audio

Con quale citazione di AGHARTA vuoi salutarci?

Il tempo è come lo spazio: una dimensione percorribile a diverse velocità. Una farfalla vive un giorno, un ulivo seicento anni. Credi che Madre Natura faccia dei favoritismi?”

Orione Lambri bolognese, classe 1973, padre, marito, pubblicitario. Da vent’anni si occupa di comunicazione, prima come copywriter e ora come direttore creativo dello studio “Lance Libere”, che ha co-fondato nel 2008. Cura il blog “Famiglia Creativa” sul quotidiano online Today, AGHARTA è il suo primo libro.

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