Ago, filo e forza contro la guerra: la Sartoria di Via Chiatamone di Marinella Savino

by Felice Sblendorio

Ritornano in mente molte suggestioni cinematografiche leggendo “La sartoria di Via Chiatamone” (Nutrimenti, 176 pagine, 16.00 euro), l’esordio di Marinella Savino con un affresco crudo e denso della guerra a Napoli.

C’è lo stesso euforico e trionfante rumore di sottofondo per l’arrivo di Hitler a Roma di “Una giornata particolare” di Ettore Scola e alcune visioni del film di Nanni Loy su soggetto di Pratolini dedicato alle “Le quattro giornate di Napoli”. Non hanno meno forza delle immagini le parole della Savino che, raccontando una piccola storia che illumina la tragedia e la disperazione della Seconda guerra mondiale, sviluppa un romanzo breve con un ritmo incalzante che si sviluppa in pochi quadri ben strutturati. Al centro del racconto c’è Carolina, una donna libera e sfrontata che il 5 maggio del 1938, quando i vicoli di Napoli si riempirono di gente per l’arrivo trionfale di Hitler, capì più di una cosa di quello che sarebbe successo: la guerra era in arrivo e non bisognava aspettare nessun ingresso ufficiale. Quella visita, quella costruzione simbolica così penetrante e autoritaria era una firma marcata su un foglio bianco. La guerra sarebbe arrivata con la sua ferocia e a terra avrebbe lasciato solamente miseria e terrore. Mentre cuciva nella sua sartoria, il luogo che muove e protegge questa storia corale, silenziosamente maturò in lei una sorta di assedio: se tutto stava per finire, bisognava cominciare a proteggere le cose a lei più care. Quelle di una vita intera.

“La dichiarazione di guerra al mondo non la fece Hitler, invadendo la Polonia. La fece Carolina, quando si convinse che una guerra ci sarebbe stata e lei doveva attaccare prima ancora di tutti gli altri, per difendersi e difendere la sua famiglia. Lo capì senza ombra di dubbio il 5 maggio del ’38, quando vide sfilare Hitler per via Partenope. Era un giovedì. Una pompa senza precedenti”.

Il libro di Marinella Savino, già tra i finalisti del premio Italo Calvino 2018, ha due grandi qualità: una storia e una voce. Una storia intima, che è familiare perché il personaggio principale è ispirato a sua nonna, e avvincente. In questa vicenda di dolore, resistenza e cuore, com’è l’essenza di Carolina, c’è la forza più vivida delle testimonianze private dei grandi fatti storici. C’è il sentimento, il sogno e il turbamento, l’incapacità di guardare oltre il cielo del presente e la miseria. Miseria che attraversa tutto il libro perché diventerà l’ossessione di Carolina che, nella sua cantina, comincerà ad accumulare cibo e provviste per i giorni più bui. Così, in questo raccontare, c’è tutto quello che serve per collegare la grande Storia alle nostre storie: l’esterno fatto di conflitti e l’interno delle vicende umane, laceranti e distruttive come una città che crolla dopo un brutale attacco.

“Lei era una semplice. Non era mai stata a ragionare sulle cause di quella guerra. Le cause, a suo modo di vedere, erano inutili, determinanti per la guerra, ma inutili per lei e la sua vita. Erano gli affetti, la vera guerra per lei. Il mondo di Carolina ruotava intorno ai suoi cari e al suo lavoro. Tutta la sua vita era divisa tra affetti e bellezza. Suo marito, i ragazzi e la sartoria, dove poteva dare spazio alla sua creatività. Era quella la vita a cui era attaccata. La guerra, un ostacolo a tutta la sua serenità”.

A colpire oltre questa storia di umanità scarna e pragmatica (la protagonista accoglierà molti vicini a casa sua durante gli anni della guerra lavorando incessantemente in sartoria per assicurare lo stretto necessario) è la voce del romanzo: indiretta, marcata, sonora. La scrittrice osa e, oltre a sviluppare un racconto quasi realista dei luoghi, delle vie e dei fatti di quei giorni, interviene nel racconto con tantissimi momenti dialettali che arrivano con sonorità coinvolgente come un fulmine inatteso durante il racconto. Pagine di rara bellezza sono quelle che la scrittrice napoletana dedica alle mitiche quattro giornate di Napoli, al rapporto lieve di Carolina con Don Arturo e quelle finali quando lo spettro della guerra smette di esercitare il suo orrore e lascia i residui della vita e dell’Io soli a ritrovare una giusta collocazione nel disordine dell’esistente.

“Don Arturo se ne andò di subito dalla faccia della terra. Come le aveva sempre detto. Senza dà fastid’ a nisciun’. Dopp a iss’, il cuore di Carolina si sospese. Non si potè fermare, che non era lei a decidere. Ma si sospese. Come tutta la sua vita. Solo allora. Quando non ci fu più nulla in sospeso. Solo allora. Carolina s’chiurett’ a porta ra casa arret’ e, cu chell, ‘a sarturia”.

La sartoria di Via Chiatamone” è il primo libro della quinta edizione del concorso “Leggo Quindi Sono”, l’appuntamento dedicato all’editoria indipendente italiana, che verrà presentato alle sette realtà scolastiche del territorio di Capitanata coinvolte nell’edizione 2019/2020 del premio dedicato alle “Giovani Parole”. L’autrice incontrerà i lettori e i giurati del concorso giovedì 23 gennaio in tre appuntamenti: alle ore 11.30 all’Istituto Pascal di Foggia, alle 15.00 presso la Casa Circondariale e alle ore 18.00 presso la sala narrativa della Biblioteca La Magna Capitana.

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