Civiltà Appennino. L’Italia in verticale tra identità e rappresentazioni

by Oscar Buonamano

«L’Appennino è il luogo più bello dove vivere e il luogo dove abbiamo coltivato la migliore cultura», dice Mario Rigoni Stern a Raffaelle Nigro in un’intervista del 2004 e che Nigro riporta all’inizio della sua narrazione in questo libro.

Ha ragione Rigoni Stern, l’Appennino ha un ruolo centrale nella cultura nel nostro Paese. Il nome stesso del bel paese scaturisce e nasce sull’Appennino, alle pendici del Gran Sasso, in Abruzzo. Siamo nell’89 a.C. e i popoli italici, in guerra contro Roma, emettono una moneta che su uno dei due lati, accanto al volto di una donna, reca la scritta Italia. È la prima volta che questo nome compare ufficialmente. Milletrecento anni dopo il comune di Siena prende una decisione storica: tradurre in volgare, per informare i cittadini, le leggi che regolavano la vita pubblica. Un atto di democrazia che cambierà il corso della storia della convivenza civile non solo in Italia. Nasceva il Costituto Senese nel quale possiamo leggere che chi governa deve avere a cuore «massimamente la bellezza della città, per cagione di diletto e allegrezza ai forestieri, per onore, prosperità e accrescimento della città e dei cittadini». E per rendere ancor più palese l’intento fu incaricato Ambrogio Lorenzetti di dipingere un quadro che rappresentasse tutto ciò. Nacque così quel capolavoro che è Gli effetti del buono e del cattivo governo.

Sono solo due esempi che sostanziano l’affermazione di Giorgio Rigoni Stern e che ci ricordano di come importante e cruciale per le sorti dell’Italia sia sempre stato l’Appennino.

Raffaele Nigro e Giuseppe Lupo dedicano questo prezioso libro proprio alla civiltà generata dall’Appennino e per essere più puntuale e preciso cito le parole che Piero Lacorazza e Gianni Lacorazza utilizzano nella presentazione al libro, «l’Appennino è qui, nelle mani esperte di Raffaele Nigro e Giuseppe Lupo, il luogo di riconquista di una lunga e radicata tradizione letteraria, artistica, identitaria che vuole essere aperta all’innovazione». In duecentosei caratteri, spazi inclusi, è condensato il cuore del progetto editoriale che i due autori esplicitano in due macro ambiti, “L’Italia verticale” e “Appennino Medio Occidente”.

Tradizione, identità e innovazione, ovvero le questioni dalle quali partire per un progetto che dia nuova vita a ciò che oggi langue. Il punto di partenza di ogni possibile progettazione per una rigenerazione dei borghi, dei paesi e delle città che costituiscono la spina dorsale dell’Italia.

E sì perché questa raffinata dissertazione di Nigro e Lupo si presta almeno ad una duplice lettura. La prima è quella che abbiamo letto nelle parole dei Corazza, ovvero una dotta interpretazione di queste terre a partire da come gli scrittori, i poeti e gli artisti l’hanno descritta, cantata e dipinta. Questa prima lettura, nella sua interezza, restituisce la complessità e la ricchezza di queste terre e delle comunità che l’hanno abitata. La seconda lettura è tutta politica. Questo libro infatti inaugura una serie figlia della “Fondazione Appennino” che ha «l’ambizione di essere nello stesso tempo affermazione di identità e ricerca di luoghi, sguardo sul passato e indagine sul presente, spazio di parole in viaggio tra voci di geografie in viaggio».

Qui entra in gioco il termine innovazione. Ciò che questo libro offre alla discussione contemporanea sul destino delle comunità che vivono sull’Appennino rappresenta il substrato culturale sul quale costruire, in termini innovativi, nuove modalità di vivere e abitare questi luoghi, nuove opportunità. Nello stesso tempo la consapevolezza di una nuova centralità acquisita da queste aree dopo la crisi economica generata dalla pandemia. Tre mesi di blocco totale delle attività economiche hanno infatti messo in ginocchio l’economia mondiale e anche in relazione a questo si schiudono nuove possibilità per tutte quelle aree che fino a ieri venivano descritte e narrate come marginali. Oggi c’è un possibile nuovo inizio per queste aree a patto che qualunque idea, qualunque progetto, riesca a tenere insieme tradizione, identità e innovazione.  

«Non si tratta di celebrare il nostos come Ulisse e nemmeno farsi eredi della parabola di Abramo che lascia definitivamente la terra di Ur per abbracciare la promessa fatta da Dio, piuttosto interpretare il senso di una fine e di una rinascita, come Enea che fugge dalle fiamme di troia e conserva gli dei pagani nella bisaccia […] Viaggio di rifondazione più che viaggio di conoscenza».

L’Appennino spina dorsale e cuore dell’Italia.

Raffaele Nigro, Giuseppe Lupo, Civiltà Appennino. L’Italia in verticale tra identità e rappresentazioni. Donzelli editore, 2020 Roma.

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