“Comandare è meglio che fottere”: un estratto del nuovo libro di Claudio Metallo

by redazione

Otto racconti dalla malavita alla politica, dal calcio alla Germania dell’Est, dalle avventure di aspiranti picciotti a profeti fin troppo terreni, fino alle storie di Van Gogh rubati, Mondiali che finiscono meno bene di quanto ci si aspetti e scioperi che entreranno nella Storia. Claudio Metallo, noto documentarista calabrese ma napoletano di adozione, torna così in libreria con la raccolta di racconti, spietata e spiazzante, Comandare è meglio che fottere, in uscita in questi giorni per i tipi di CasaSirio.

Con una scrittura scorrevole, piacevole e sincera, capace di trascinare e divertire, Metallo traccia un’analisi puntuale della malavita e dei suoi meccanismi. Si può ridere della Mafia, della Camorra e della ‘Ndrangheta? L’autore ci obbliga a farlo senza giri di parole: il modo di spezzare questo potere malato è screditarlo con una risata. Una raccolta basata sulla lingua delle strade, soffocate dalla delinquenza, e sull’ironia dissacrante, tipica della sceneggiatura napoletana. Immancabile il piglio documentaristico con cui Metallo ci accompagna tra i vicoli delle città restituendoci fotografie della Storia del nostro Paese. bonculture anticipa l’uscita del libro con un estratto.

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Erano passate sette giornate di campionato, ma Vincenzo Feracore ne aveva già abbastanza del Costa del Rei. Lo stadio Giuseppe Vitelli, venerato presidente delle magiche stagioni andate, era diventato terreno di conquista per le squadre avversarie. Lemozione di farsi le trasferte europee in città di cui non si sapeva pronunciare neanche il nome era solo un pallido ricordo. Per prendere due o tre gol bastava andare al Vitelli. Vincenzo stracciò il biglietto in mille pezzi bestemmiando, come ormai gli capitava tutte le domeniche. Non sarebbe più andato allo stadio, quella era lultima partita che vedeva del Costa del Rei.

Il suo cellulare iniziò a squillare.

– Enzi, abbiamo aspettato che ti finivi di vedere la partita di quella squadra di merda che ci tifi tu.

Era Antonio Russo detto Totonno a Culercia. Nessuno però si permetteva di chiamarlo di persona a Culercia, una formica più grossa delle altre che morde provocando bruciori, perché Totonno sarebbe stato capace di tirare fuori il ferro e scaricargli lintero caricatore nel petto.

Lui e Vincenzo Feracore non si erano mai amati e Totonno non capiva un cazzo di pallone.

– Enzici si?

– Qua sto.

– Ricogliati e baghettelle e vieni al bar che Luigi ti vuole parlare. Subito, però. Dovevi essere già qua.

– Il tempo di arrivare, non mi stare in pensiero.

Luigi Mautone era il capo di Vincenzo Feracore. Aveva un bar con una piccola bisca e gestiva una banda che gli faceva il recupero crediti, controllava i suoi quattro appartamenti con altrettante puttane e costituiva un piccolo esercito personale di sbandati. Quando stava a Napoli, Mautone era conosciuto come Giggino o Bello perché aveva fatto la parte del belloccio in qualche film con Pino Mauro e Mario Merola. Aveva gli occhi azzurri, i capelli neri, era alto e sfilato. Un fotomodello. Però gli anni passano per tutti e Giggino o Bello aveva messo su la panza a furia di zeppole, panzarotti e crocchè. I capelli neri si erano ingrigiti e gli erano rimasti solo laltezza e gli occhi azzurri. Quando se nera andato da Napoli gli avevano pure cambiato il soprannome da Giggino o Bello a Giggino u Napulitanu.

Vincenzo lavorava per lui da quattro anni, ma voleva fare il salto di qualità e smetterla con quelle robette da tre, quattro o cinquecento euro. Totonno a Culercia andava già a prendersi cinque o seimila euro a botta. A Culercia gli era antipatico, però sapeva usare la pistola non solo per spaventare. Anche Vincenzo aveva preso a esercitarsi per sparare veloce, per essere preciso e non sprecare proiettili, ma nessuno gli avrebbe mai fatto accoppare un uomo.

Il sogno di Feracore era aprirsi una pizzeria. Era fissato perché il nonno era pizzaiolo e si ricordava del profumo del basilico, del pomodoro fresco sparso su quel disco di acqua e farina che diventava una bomba, e della mozzarella. Per Enzo la mozzarella era un miracolo. Si domandava sempre come fosse possibile che il luogo da cui nasceva una cosa così buona, succosa e soprattutto candida fosse un allevamento di bufale che sono sgraziate, nere e amano vivere nel proprio sterco. Il pensiero di una margherita fumante appena tolta dal forno gli faceva dimenticare subito tutto. Era capace di andare a Napoli solo per mangiare una pizza da Michele o da Di Matteo. Per la pizza fritta invece si faceva un salto a Mater Dei. Una volta si era fatto cacciare da una pizzeria perché assillava il pizzaiolo chiedendogli consigli, se era meglio la lievitazione naturale come gli aveva insegnato il nonno oppure poteva andare bene aggiungere un poco di lievito istantaneo.

– Ué, guaglio, ma vattenne. Mi vofafatica? – era stata la risposta.

Luigi Mautone, che era un napoletano verace di Porta Capuana, lo sfotteva: – Tu lo sai che Pietro Esposito, chillcas’è inventato la pizza margherita, lo chiamavano Pietroebastacosì? E moti chiamammo purate comm’ ‘a iss, Enzoebastacosì.

Appena entrato nel bar gli si fece incontro Totonno con il suo ghigno da stronzo.

È arrivato lillustrissimo Vincenzo Feracore, inteso anche come Enzoebastacosì. Riveriamo.

– Felicissimo pomeriggio a tutti i signori.

– Enzi, mio nipote ha prestato cinque euro a un compagno di scuola. Se te li fai ridare ti do cinquanta centesimi.

– Ohi Toto, ma ancora alletà tua cunti ste minchiate? Tua sorella dopo che me la sono puntellata me lo dice sempre che non cambierai mai. “È sempre nu quatriariellu” mi dice, e poi me la pompo di nuovo.

Totonno alzò un pugno.

– Guarda che io ti spedisco al camposanto.

– Se, se. Sù cchiù ‘e vuci che e nuci.

– Uè, guagliola finiamo? – era la voce di Luigi Mautone detto Giggino u Napulitanu. – Enziviene qua.

Enzoebastacosì eseguì lordine e a Culercia si scansò con stizza per farlo passare, urtandogli la spalla di proposito.

Al centro della scrivania di Luigi Mautone cera una borsa in pelle nera. Era floscia, ma ci doveva essere del carico.

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