Conversazioni 2019 e il filo rosso del pregiudizio

by Claudia Pellicano

Nel 1986 Antonio Monda, durante la realizzazione di un documentario sulla cultura ebraica, chiese a Primo Levi quale consiglio avrebbe potuto dare a chi non fosse ebreo e volesse raccontare la loro storia. Lo scrittore rispose:

«Le do un consiglio impossibile: non abbiate pregiudizi».

Una sfida raccolta dalla quattordicesima edizione delle Conversazioni, il Festival ideato da Antonio Monda e Davide Azzolini, che ogni anno chiede ai propri ospiti di affrontare un tema diverso, condividendo le proprie esperienze ed impressioni attraverso il cinema, l’arte e la letteratura.

Che cos’è il pregiudizio, e come si forma? È davvero inevitabile avere dei preconcetti? E come ci si difende quando si è oggetto di uno sguardo falsato da un paradigma che non corrisponde alla realtà?

Il filo rosso che lega queste Conversazioni è che sembriamo essere tutti, al contempo, vittime e responsabili di qualche pregiudizio. Un «pensiero ozioso», secondo la definizione di Annalena Benini, qualcosa che tutti subiamo e esercitiamo nel nostro modo di stare al mondo. Spesso si risolve in un punto di partenza, che però diventa pericoloso se si trasforma in un traguardo, in una verità di cui si cercano semplicemente conferme. Si può tentare di arginarlo attingendo alla propria umanità, come nelle Sette opere di misericordia di Caravaggio, in cui la luce scavalca i pregiudizi.

Oppure esercitando la curiosità, mettendosi in cerca, come suggerisce Susanna Tamaro: «Le galline hanno la facoltà di memorizzare non più di ventitré membri della loro specie. Il ventiquattresimo esemplare, non essendo riconosciuto, viene attaccato» . Quello che, però, negli animali rimane un istinto etologico, negli esseri umani assume una connotazione morale. Allora il pregiudizio prende le forme della pigrizia, che porta gli essere umani, come qualunque altra specie sociale, a un’innata diffidenza verso l’estraneo, potenzialmente identificato come nemico.

È l’arte a ricordarci le nostre affinità. Tamaro racconta che la prima volta che ha visto Campo di grano con corvi si è sentita meno sola, perché c’era qualcun altro che vedeva le cose come lei. Benini cita Pastorale Americana e Anna Karenina come esempi di letteratura che fanno sentire di appartenere all’umanità. I personaggi sono esseri umani complessi, capaci di grandezza e di meschinità. La causa dell’infelicità è l’impossibilità di capirsi, che è alla base del pregiudizio. Il sogno americano è pieno di crepe, ma Roth racconta che è così che scopriamo di essere vivi, sbagliando. O innamorandoci, come in Io e Annie, che racconta di un avvicinamento e un allontanamento, e come nelle canzoni di Lucio Dalla, che ha saputo raccontare storie piene di comprensione.

All you need is love, cantavano i Beatles, nella canzone scelta da Piera Degli Esposti. Anche per Francesco Vezzoli l’amore rappresenta una forza salvifica che ci aiuta a vivere e ad andare avanti. Un  baluardo contro il pregiudizio, che è come la bellezza, vive negli occhi di chi guarda, e tradisce un’insicurezza. Forse questo genere di retropensiero è soprattutto paura. Paura dei cambiamenti, dell’altro, di quello che non si conosce. Florian Henckel lo racconta in un film bellissimo, Le vite degli altri, dove una spia salva il mondo che stava per condannare, salvando anche se stesso. In un mondo nichilista, questo storia parla di redenzione, di una crudeltà che cede e si trasforma.

Avvicinandosi agli altri, si scopre che ognuno di noi è unico, e che la paura, spesso, è bugiarda. È  sufficiente uscire dal pollaio.

*La foto è di Steve Bisgrove

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