“Dracul – Come tutto ebbe inizio”, un’esperienza gotica, macabra, romantica. E irrinunciabile

by Francesco Berlingieri

Dacre Stoker, J.D.Barker
Dracul – Come tutto ebbe inizio
(Casa Editrice Nord, 467 pagine, 18,60 euro)

Era Halloween. O forse la commemorazione dei defunti. Fatto sta che avevo letto, su una rivista di cui adesso non vi saprei dire, di un discendente diretto di Bram Stoker, attualmente vivente e residente nel South Carolina, che – coadiuvato da un J.D. Barker, “autore di bestsellers internazionali” – aveva scritto del suo antenato e dell’origine della di questi ossessione per il protagonista dell’opera che gli ha donato la fama eterna: il conte Dracula.

Il guaio principale dell’aver intrapreso l’attività di libraio consiste nel fatto che qualsiasi titolo bizzarro capiti sotto gli occhi diventa immediatamente, e irrimediabilmente, accessibile. Così mi ero fatto recapitare dal buon corriere una copia del suddetto Dracul – Come tutto ebbe inizio, edito da Nord Edizioni. E, spinto da quel bisogno irrimandabile che può ben comprendere qualsiasi lettore compulsivo, ho cominciato a sfogliarlo. Ad Halloween. O forse era il giorno dei morti.

Prima della prima parola, subito dopo le dediche (A tutti coloro che sanno che i mostri sono reali) e le avvertenze, c’era una cartina: La Dublino di Bram Stoker, 1847-1868. Non so se a voi capita lo stesso, ma io quando vedo una cartina in un libro, capitolo. Un libro con la cartina è un libro che mi ha già fatto suo. “Bram fissa la porta. Il sudore gli cola dalla fronte aggrottata. Si passa le dita tra i capelli madidi, le tempie gli pulsano per il dolore”. Bram (Stoker) è barricato in cima ad una torre abbandonata. Si prepara ad affrontare un nuovo assalto. Dall’altra parte della pesante porta di quercia c’è qualcuno. O qualcosa. Che gli parla con molteplici voci, graffia gli stipiti, lancia urla lancinanti e muove gli elementi esterni, lupi compresi. Bram è solo. Non dorme da giorni. In mano ha uno Snider-Enfield che sa che gli servirà a poco, a terra una rosa bianca benedetta –  l’ennesima – che appassisce lentamente. Sui muri, specchi e croci. Sa che queste creature della notte non possono varcare una soglia senza essere invitate ed accolte da chi le abita. Ma, insieme alle rose all’acqua santa, alle croci d’argento e agli specchi, è l’unica tenue speranza di scampare al non morto che lo cinge d’assedio.

Ho letto le prime cento pagine. Cento pagine pregne, piene di aggettivi ed avverbi al posto giusto, dispensati e dosati con competenza e bravura; dense di un piacere letterario vittoriano. Cento pagine in cui Bram torna un bambino di sette anni, nella sua casa di Clontarf, con mamma, papà, fratello e sorella maggiori. E, soprattutto, con la tata. Ellen Crone. La giovane donna che ha il non facile compito di badare ad un bambino malato e debilitato, un bambino indifeso e destinato ad una breve vita da allettato. Fino alla notte della crisi, quando Bram sta per morire. E non muore. Cento pagine, fino alla fine dello scorso mese di novembre. Poi, come spesso capita ai libri che baldanzosamente si sono fatti avanti in un periodo particolare, il tomo è finito sull’ultima mensola della credenza, accanto alla cartolina di Berlino Est, alla statua in miniatura di Napoleone Bonaparte e al Maneki Neko di Tania. Senza averne colpa. Pensavo che sarebbe rimasto così, desolato, a chiedersi il perché, col suo segnalibro dritto come un periscopio; col suo segnalibro che non era manco il suo, ma di Megrelli. E invece, d’improvviso, il lettore compulsivo ha avuto voglia di riprenderlo durante un giorno di quarantena. Ed ha fatto bene. Perché – non mi si fraintenda – Dracul è stato un ottimo compagno di strada. Come Bram, Matilda, Thornley. E pure il signor Arminius Vambéry, enigmatico ungherese frequentatore dell’Hellfire Club di Montpelier Hill, insieme a gente del calibro di Arthur Guinness, Sheridan Le Fanu e William Wilde, padre di Oscar.

Dracul è un libro equilibrato, dove l’equilibrio è già raffinatezza; è un’esperienza gotica, macabra, romantica. Ma, principalmente, è un libro scritto con la rara premura di fornire al lettore ogni dettaglio, ogni particolare, ogni odore, in ogni singola scena in cui una vanga giunge, dopo metri di terra, a toccare una cassetta di legno. Il lettore, soddisfatto, non può che ringraziare.



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