Aver cura di una pianta, di un gatto e infine di sé: è l’esercizio quotidiano che può sconfiggere la solitudine, quella che ti fa esistere, senza mai vivere a pieno.
Eleanor Oliphant sta benissimo, romanzo d’esordio di Gail Honeyman, Garzanti 2018, è stato un caso letterario, pubblicato in oltre quaranta Paesi, con numerosi premi e riconoscimenti all’attivo.
Protagonista e voce narrante, Eleanor vive a Glasgow, prigioniera di un isolamento nel quale finge di accomodarsi, ma che in realtà le toglie il fiato.
Sapevo che la gente non avrebbe dovuto vivere come facevo io: lavoro, vodka, sonno, un ciclo costante e statico in cui ruotavo su me stessa, dentro me stessa, silenziosa e sola.
Non è facile parlare della non-vita, in modo profondo e leggero al tempo stesso: l’autrice ci accompagna nel buio più buio che possa esistere, dando voce ad un personaggio fuori dal coro.
È l’inesperienza a rendere unica Eleanor, che non sa come ci si comporta in un pub, o cosa è opportuno indossare a un funerale.
A colpire, in questa storia, è l’ostinazione di Eleanor a non lasciarsi andare mai del tutto, anche quando la rassegnazione si offre come la via più facile.
Lei cade e si rialza, accetta la sfida di mettersi in gioco, di guardare in faccia il rimosso e il dolore.
Far parte di una massa era una bella sensazione, e provavo un piacere sottile a mescolarmi a loro.
Sarebbe piaciuto, probabilmente, a Fabrizio de André questo libro, perché Eleanor è “un’anima salva” ai calci di rigore, capace di ribaltare il risultato finale, con lo slancio di un attaccante zoppo che solo per dovere rincorre la palla.
Interessanti gli aspetti psicologici dei personaggi, così come il percorso della risalita, trattato con attenzione, rispetto e delicatezza.
Come nasce il libro? Da quali esigenze?
Molto è svelato nell’intervista all’autrice che chiude e impreziosisce il volume.
Ho iniziato a chiedermi come fosse possibile che la solitudine, per lo più associata agli anziani, potesse manifestarsi in individui relativamente giovani e quali fossero le problematiche risultanti.
Il libro affronta anche l’argomento tabù del disagio psichico e dell’amore materno, senza assolvere e senza condannare, ma ponendo con forza una riflessione: ogni vita pubblica ha il suo privato.
Scena e retroscena, spessissimo, differiscono tra loro: la luce della ribalta ha il suo cono d’ombra dietro le quinte.
Bisogna avere sensibilità e intelligenza emotiva per capirlo, per scorgere le solitudini dietro le maschere.
A cosa servono le storie, dunque?
Forse, anche a riconoscere Eleanor tra la folla.
A farle un sorriso quando ci passa accanto.
Mara Mundi
Il libro, che fa parte delle collezioni della Sala Narrativa, è disponibile in Biblioteca per il prestito.