“Eravamo dei grandissimi”, storia di una generazione travolta dall’unificazione delle due Germanie

by Antonella Soccio

Molti di noi nel 1989- l’anno che sancisce insieme sia i Quaranta anni della DDR sia la caduta del Muro di Berlino con la fine del comunismo nella magica notte dei berlinesi riversi in strada sul muro e alla frontiera- o non erano nati o erano in età scolare. Come Daniel, Mark, Paul e Rico, protagonisti nel 2006 di un romanzo epico tedesco, il best seller di Clemens Meyer, che meglio racconta il passaggio di un’epoca e gli anni della riunificazione delle due Germanie, dal titolo Als wir träumten (Quando sognavamo), pubblicato in Italia da Keller nel 2016  e tradotto con “Eravamo dei grandissimi” (608 pagine, traduzione curata da Roberta Gado e Riccardo Cravero, 19 euro).

Nel libro, un monumento ai ragazzi di allora, divenuto anche un film di successo, non siamo a Berlino, ma a Lipsia, in una città che dopo il disfacimento del “socialismo realizzato” è una prateria di scorribande e di fiumi di eroina, iniettati nelle vene dentro fabbriche in disuso e nei vecchi cinema, ormai abbandonati di un centro urbano in vorticosa trasformazione.

Dopo la Svolta del 1989, seguiamo, attraverso l’io narrante di Daniel, un gruppo di amici indissolubile, cresciuti come “pionieri” nella Germania dell’Est che alternano alla goliardate dei primi ormoni sedati coi giornaletti porno, i furti di auto, le risse e l’alcol di pessima qualità.

Attraverso le loro bravate e una impetuosa narrazione tematica, con tantissimi racconti dentro un’unica struttura, che saltano i periodi temporali e le relazioni tra i personaggi, in un continuo rimando tra il prima e il dopo la caduta del Muro, il lettore scopre, percepisce e immagina come doveva essere la Germania Est, così mirabilmente raccontata in queste settimane da Ezio Mauro. E intuisce perché oggi proprio quelle stesse terre siano il cuore dei nuovi radicalismi politici europei. Rossi, verdi e neri.

La grande Storia in “Eravamo dei grandissimi” diventa la cornice per parlare dell’animo di un manipolo di adolescenti scorretti, audaci, scapestrati, perduti, ma leali l’uno con l’altro, come solo gli amici maschi sanno essere. Si dice spesso che tra le due Germanie si sarebbe potuto innescare una guerra civile e che il processo di unificazione al pari di quello disgregativo della ex Jugoslavia avrebbe potuto portare morti e sangue. Non accadde, ma nel testo di Meyer, che non è un romanzo di formazione, perché disgregato in mille pezzi in frantumi come la Germania Est dissolta, capiamo che a perdersi fu una generazione, che viveva come in un limbo, immersa nella nuova merce dei consumi occidentali che invasero il paese.

“Non lasciare che i ricordi sbiadiscano” tuonava la pubblicità, “tienili vivi con la nuova videocassetta Samsung”. È esilarante la scena dei ragazzi che non riescono ad azionare il nuovissimo e ignoto forno a microonde occidentale e mangiano per due volte, la seconda addirittura procacciandosi e rubando delle pizze al supermercato per un nuovo test per l’elettrodomestico, la merce sfatta, molle e scotta.

La grande Storia è il teatro delle esperienze e dello sguardo adolescenziale di ragazzi destinati a diventare nella Germania unita dei boxeur falliti, delle anime da riformatorio, degli eroinomani senza scampo o dei disadattati, legati nel loro divenire giovani adulti solo dalla fede per la squadra di calcio, la Chemie Leipzig, e dalla loro fraterna amicizia.

Ecco allora che nel capitolo “Assemblee”, la consueta riunione organizzativa della piccola banda serve all’autore anche per riferire dei lunedì di Lispia, con le marce dei cittadini e delle mamme, partite come manifestazioni cristiane religiose e divenute in pochi mesi in quel 1989 delle proteste collettive per la libertà contro la Stasi e la dittatura. “Noi siamo il popolo”, lo slogan. Rico decide che anche loro avrebbero dovuto marciare, nonostante pochi giorni prima fossero stati redarguiti dal dirigente scolastico, che li aveva riportati all’ordine, inneggiando contro le falsità dell’Ovest.

“La gente si ritrova per marciare si serve di quel ponte per attraversare il ring. Sto parlando di centinaia se non di migliaia di persone sobillate da pochi irresponsabili. Vi esorto a restare vigili, pionieri, e a non sostenere questi attacchi irresponsabili all’ordine socialista e alla sicurezza”.

Racconta molto bene quei lunedì Ulrich Mähler in un saggio storico imperdibile intitolato “La DDR una storia breve 1949-1989”.

“Quando la mattina del 9 ottobre 1989 70.000 persone parteciparono alla manifestazione del lunedì di Lipsia tutto era appeso a un filo. Le forze di sicurezza erano pronte ad intervenire con la forza di sciogliere la manifestazione. Ma nell’amministrazione distrettuale di Lipsia si imposero le persone più assennate”.

Il 16 ottobre i 70mila erano già diventati 100mila, a chiedere ed urlare riforme democratiche. Sembra di vederli Daniel e Rico e gli altri grandissimi del romanzo partecipare con la loro voglia di fare i reporter ad uno degli ultimi lunedì prima del 9 novembre e leggere “libere lezioni” invece di “libere elezioni” sugli striscioni.

Tra gli hooligan, le prime discoteche e le prime cotte, troviamo i ragazzi all’inizio del libro sicuri in un unico rifugio, nel monolocale di una vecchia signora, che aiutano con la legna e alla quale spillano soldi e alcol tremendo, ma con cui sono felici e sereni, meglio che nelle tristi case paterne o per strada, preda delle bande nemiche e dai primi naziskin.

E alla fine, la lunga epopea del Selvaggio Est finisce di nuovo così, in uno scasso di automobili insieme a dei nuovi ladruncoli, stretti vicini, mangiando e bevendo felici le poche cose, rubate ancora al supermarket in una scossa adrenalinica di vita, in un esproprio giocoso e per nulla proletario.

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