Evitare le trappole mentali che indirizzano le nostre scelte. L’intervista a Paolo Legrenzi

by Claudia Pellicano

La politica sa che siamo governati dalle nostre emozioni più di quanto ci accorgiamo o siamo disposti ad ammettere, e sfrutta questo lato del comportamento umano per radicalizzare le opinioni e raccogliere voti. La propaganda si avvale di sensazionalismo e semplificazioni che alimentano il consenso, in una competizione in cui la posta in palio è la nostra attenzione, che viene catturata abbassando le nostre capacità cognitive.

Questa, in sintesi, l’analisi effettuata da Nicola Barone e Paolo Legrenzi in Guida razionale per elettori emotivi, un testo che passa in rassegna le “esche” emotive volte a imbrigliare le preferenze dell’elettore, e fornisce alcuni strumenti per destreggiarsi tra i vari e sempre più pervasivi tentativi di manipolazione.

Disponiamo tuttora di una conoscenza limitata dei meccanismi mentali che attengono a quello che gli studiosi definiscono “inconscio cognitivo”, il che rende ancora più ostica l’indagine sulle nostre scelte. La maggior parte dei processi mentali sfuggono al pensiero cosciente: siamo consapevoli dei nostri pensieri, ma non dei percorsi che li hanno prodotti. E in un momento in cui i partiti sembrano più disposti a cavalcare le passioni dell’elettorato anziché incanalarle e dirimerle con risposte concrete, è fondamentale capire i propri e gli altrui meccanismi decisionali.

Oggi le scienze cognitive rimettono in discussione il caposaldo cartesiano come fondamento dell’esistenza. La ragione, da certezza, diventa mistero. Se ne ha riprova al momento del voto: gli elettori cambiano opinione di frequente, spesso si pentono delle preferenze accordate e, ciò che più conta, non necessariamente scelgono in base alla propria utilità. I programmi elettorali, tutto considerato, esercitano un’influenza secondaria rispetto al voto. Nella cabina elettorale, così come in altri ambiti della vita, non cerchiamo la verità, ma una conferma alle nostre convinzioni.
La razionalità è limitata, l’attenzione vacillante, e il pensiero inscindibile dalle emozioni. La nostra capacità di ragionare non ci rende immuni né a manipolazioni né all’imperio delle emozioni.

La consapevolezza che, tutti, siamo vulnerabili alle nostre passioni è il primo passo per adottare scelte utili e razionali. Conoscere noi stessi, come ammonivano i greci, senza stigmatizzare le emozioni e senza cadere nella trappola delle propaganda e dei nostri limiti decisionali.

Professor Legrenzi, possiamo fare una distinzione tra emotività e ignoranza?

Oggi l’ignoranza è spesso l’effetto di quell’esperimento molto famoso di Dunning-Kruger tale per cui non sappiamo abbastanza per renderci conto di essere ignoranti. Nella complessità delle molte conoscenze del mondo contemporaneo, per rendersi conto della propria ignoranza, bisogna già sapere qualcosa. L’effetto paradossale è che, se un individuo sa veramente poco, crede davvero di saperne di più rispetto a chi, sapendo un po’, si rende conto di non sapere. Oggi l’ignoranza funziona in questo modo, ed è molto insidiosa, perché è difficile da superare. Prendiamo, per esempio, la questione della Brexit. Alla domanda se si sia favorevoli o contrari è complicatissimo rispondere, perché è un quesito con moltissime dimensioni e implicazioni. Per rendersi conto di non saper rispondere a questa domanda bisogna già sapere qualcosa. Se un individuo non sa niente, disinvoltamente risponde sì o no. Questa è l’ignoranza del mondo di oggi- non è semplice non conoscenza di un’informazione. Se io le chiedo quale sia la capitale di uno Stato e lei non lo sa, si rende conto di non saperlo, ma in tanti altri ambiti, come, per esempio, un referendum, bisogna sapere già abbastanza per rendersi conto di non saperne abbastanza.
L’emotività, invece, è una dimensione totalmente diversa, nella quale il soggetto teme qualcosa che possa succedere in futuro o prova rimorso o rimpianto rispetto al passato, prova dolore o piacere rispetto a un avvenimento che giudica positivo o negativo. Naturalmente c’è un aspetto cognitivo anche nell’emotività.

L’ algoritmo è in grado di fare quello che i filosofi hanno provato a fare per secoli, scandagliare l’animo umano. La rete agisce con lo scopo di rinforzare le nostre convinzioni?

La rete funziona in base a un algoritmo molto semplice, che gli psicologi avevano sperimentato già nel 1930 con il condizionamento operante di Skinner; oggi disponiamo della tecnica per trattare un’enorme massa di dati sulla base delle preferenze date in passato. Non c’è un interesse ad antagonizzare, è un effetto automatico di questo modo di alimentare le informazioni. La radicalizzazione è una conseguenza di questa quantità di esposizione all’informazione.

Se una verità non ci piace, è così automatico dismetterla?

In genere, se una verità non piace, non la si viene neanche a sapere. Così come un genitore non dice al figlio le cose che potrebbero ferirlo, la rete funziona in modo che le cose che non ci piacciono spesso non ci vengono neanche proposte. In base al sistema che abbiamo appena descritto, la rete ci “protegge” per via di questo meccanismo di rinforzo, positivo o negativo. Questo rende il mondo più diviso, abitato da “tribù” ognuna delle quali si alimenta di quello che le viene offerto. Dinanzi a tali congegni di “autorinforzo”, bisognerebbe fare uno sforzo in più.

Qual è, a questo proposito, il ruolo e la centralità della scuola e dell’istruzione? Che visione ne hanno le istituzioni?
 
Oggi, in Italia, un ragazzo trascorre mediamente due ore e ventidue minuti al giorno sui social. La scuola, intanto, deve lottare con un’attività che spesso consiste nell’interazione con gli amici, e nell’accumulare informazioni rispetto alle quali essa non rappresenta più l’unica fonte. Deve fronteggiare una grande concorrenza del mondo al di fuori, il che non è poco. In più molti genitori hanno una visione strumentale della scuola: vogliono che i figli siano promossi, non che imparino. Non gli sta a cuore la loro istruzione, ma la promozione sociale e la loro possibilità di affermarsi nella società. Questo ci si aspetta dalla scuola, non che si impari e si accresca la propria conoscenza. Naturalmente è un errore, perché è l’aumento del capitale umano che fa affermare le persone. Questo è dovuto anche al fatto che ci sono molte più persone che vanno a scuola, provenienti da famiglie che hanno un’idea sbagliata delle funzioni dell’istruzione scolastica.
Le istituzioni, per via della ricerca del consenso politico, non svolgono un ruolo innovativo o promozionale di guida, inseguono quello che pensa la gente, e svolgono una leadership funzionale a quello che la competizione elettorale richiede.

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