Geli è “L’angelo di Monaco”: Fabiano Massimi porta a spasso per le tensioni di un’epoca crepuscolare che anticipa il nazismo

by Francesco Berlingieri

Fabiano Massimi
L’angelo di Monaco
(Longanesi, 496 pagine, 18 euro)

Non conoscevo Fabiano Massimi. Probabilmente, se avessi letto il suo nome e cognome – indubitabilmente italiani – mi sarei fatto catturare dal pregiudizio e non avrei mai affrontato la prima pagina de L’angelo di Monaco. Di certo, il libro era tra i miei papabili da un po’. E, nell’attimo feroce della scelta, è giunto a contendersela con un altro paio di titoli “tedeschi”: Berlino 1944 di Harald Gilbers, edito da Emons, e Violette di marzo di Philip Kerr, edito da Fazi.

Evidentemente, nel me stesso lettore, la quarantena ha alzato polveri di Weimar. E ho deciso di farla finita con l’idea ossessiva che gli italiani non sappiano scrivere gialli. Il Massimi, fiero di questo punto segnato a suo favore, ha addirittura preso ad esagerare, spiattellandomi davanti agli occhi stupiti una quantità di descrizioni – e voi sapete quanto non sopporti neppure quelle! – che invece di darmi il mal di testa, hanno reso raffinata e precisa l’ambientazione del suo lavoro. E tutto, da subito, è andato per il verso giusto.

La sintonia ci ha reso complici di una storia inquietante e drammatica di cui tutti hanno sentito almeno una volta parlare, ma che mai era stata dipanata in maniera così esaustiva. Il 18 settembre del 1931, Angelika Raubal, detta Geli, si uccide con un colpo di pistola nella sua casa di Monaco di Baviera. Ha ventidue anni, è bella, è magnetica, è dedita alla bella vita dei salotti e non è una stupida. Sigfried Sauer, commissario dell’anticrimine monacense, e il suo secondo Helmut Forster, detto Mutti, vengono strappati all’ozio di un assolato sabato mattina di Oktoberfest per indagare sull’accaduto. Con molta discrezione. Perché Geli non è una ventiduenne qualsiasi. È figlia della sorellastra di un uomo politico in forte ascesa nella disperata e rancorosa Germania di quegli anni. È la nipote di Adolf Hitler. E si da il caso che la pistola da cui è partito il colpo fatale sia proprio quella del Fuhrer dei Nazionalsocialisti. Scoprire, quindi, ma anche ricoprire ciò che di imbarazzante, di destabilizzante potrebbe emergere dall’indagine, è il dettame al quale i due devono attenersi. Ma la storia scricchiola, vacilla pesantemente sotto i colpi di evidenze sempre più nette, sempre più paranoiche, sempre più mostruose.

Così l’inchiesta-lampo del sabato mattina si trasforma, pagina dopo pagina, in una ciclopica caccia all’uomo che cela un universo parallelo di connivenze, di perversioni, di spietatezze. Fabiano Massimi – nonostante i consueti, italianissimi espedienti dei giallisti – riesce nell’impresa di portare il lettore a spasso per le tensioni di un’epoca crepuscolare che annuncia la catastrofe del nazismo partendo dallo “spessore umano” dei suoi protagonisti di prima fila. E restituisce al mondo delle lettere uno scenario verosimile ed accurato che s’oppone, con forza, ad una verità storica di comodo che però, purtroppo, non potrà più essere confutata. Per la storia ufficiale, nel settembre del 1931, Angelika-Geli – la nipote-amante di Hitler – si è sparata al petto mentre il suo zio-tutore era in tournee elettorale nel Nord del paese. Per la storia dei romanzi gialli la faccenda andò assai diversamente. E, ancora una volta, possiamo convenire con l’idea che la finzione si sia dimostrata più convincente della realtà stessa.

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