Giorgio Ghiotti firma la postfazione de “Il fantasma di una mano” di Joseph Sheridan Le Fanu. I racconti di fantasmi hanno la loro origine dentro di noi

by redazione

Tiled House è una villa come molte ce ne sono, a fine Settecento, in Irlanda. Apparentemente uguale alle storiche tenute sorte nei pressi di Dublino, a Tiled House qualcosa accade, inspiegabile, nell’oscurità. I domestici resistono appena qualche settimana, e i bambini perdono il sonno dietro sogni spaventosi più simili a visioni, perché una presenza si aggira attorno alle mura: il fantasma di una mano il cui proprietario, appena prima di poterne scorgere il viso, scompare misteriosamente nel buio. Fino al momento in cui, una notte, la mano si spinge dentro la casa, infestando stanze e pensieri.

Maestro del racconto gotico, Joseph Sheridan Le Fanu (uno dei più grandi scrittori irlandesi del XIX secolo) scrive, con “Il fantasma di una mano” in uscita il 20 dicembre per ‘Via Ozanam poesia/chakra’, una delle storie di fantasmi più appassionanti e inquietanti del genere.

In anteprima, bonculture.it pubblica la postfazione alla plaquette di Le Fanu firmata da Giorgio Ghiotti, fondatore insieme a Leonardo Laviola di ‘Via Ozanam’.

Quando nel 1983 il più grande scrittore per l’infanzia al mondo, Roald Dahl, decide di raccogliere in un volume dal titolo The Book of Ghost Stories i 14 migliori racconti di fantasmi scritti in lingua inglese, tra i nomi che indica (le sue dita non erano grassocce come quelle della ‘mano’, ma affusolate e grandissime come quelle del suo Grande Gigante Gentile) vi è quello di Joseph Sheridan Le Fanu col racconto Il fantasma di una mano. L’invito alla cena con fantasma organizzata da Dahl è esclusivo, le pietanze ottime, la compagnia invidiabile: c’è Edith Warthon, Cynthia Asquith e Rosemary Timperley, Mary Treadgold e F. Marion Crawford. Quasi tutte signore, si noti. Immaginiamolo, seduto a questa tavolata squisitamente spettrale, Le Fanu col suo completo buono, l’aria malinconica (e la malinconia arriva a ondate, improvvisa, dalla morte di sua sorella Catherine), schivo per natura (specialmente dopo la scomparsa dell’amatissima moglie Susan Bennet). Immaginiamolo questo signore irlandese che vive a Marrion Square, Dublino (dove è nato nel 1814), la facciata del palazzo a mattoncini scuri, bruciati verrebbe da dire, e poi chissà da chi – ipotesi, dubbi, brividi –, quattro figli e una laurea al Trinity College in giurisprudenza, immaginiamolo mentre educatamente prende posto accanto alle più grandi scrittrici del soprannaturale, tutte convocate da Dahl in persona. Per uno come Roald, il cui racconto del cuore era La lotteria di Shirley Jackson, davvero ritrovarsi immerso nelle storie di questi signori e di queste signore di bene o di malaffare è come vincere alla lotteria. Speriamo solo il premio non sia il medesimo del racconto di Jackson…

Ma chi è, insomma, Joseph Sheridan Le Fanu? È un avvocato di Dublino in attività, uno straordinario e prolifico scrittore, investigatore dell’occulto e amante delle ghost stories, ma anche del romanzo storico irlandese; e poi è il padre di Carmilla, la più famosa vampira della letteratura insieme alla Christabel di Coleridge, al Lord Ruthven di Polidori e al conte Dracula di Bram Stoker (che guardò a lei come modello letterario d’eccellenza). Val la pena di ricordare che Carmilla è la prima vampiro donna – saffica, per giunta – della storia della letteratura.

Lunga e gloriosa è la genealogia – non meno che la discendenza – dei fantasmi della letteratura anglofona. Quelli di Sheridan Le Fanu, valga qui quel che scrisse Virginia Woolf per i racconti di fantasmi di Henry James, hanno la loro origine dentro di noi. E senza una tensione condivisa, senza il sospetto del conto che non torna, del buio affollato e ignoto e del letto risalito in notturna da un incubo trasformato in vero corpo (per quanto traslucido, o scomparso l’attimo prima di poterlo fissare negli occhi), non si dà vera paura; quella paura che batte ossessiva anche a distanza di anni, in una piazza in pieno sole, e che muove – come per la zia Rebecca – a scrivere e lasciare una testimonianza dei fatti (dei misfatti) avvenuti. Spazi come palcoscenici, prediletti alcuni, altri assai meno raccomandabili, specialmente se si è soli: cucine e frutteti, angoli ciechi e armadi, esterni che al calar del sole si trasformano in minaccia silente e preparano, pazienti, l’assedio. Le porte sono soglie, zone franche, limiti ideali e specchi al di là dei quali stiamo noi, attoniti nel loro deformante riflesso. Noi che siamo, a noi stessi, spaventevoli e nudi; noi che quei limiti, come nella perfezione dei racconti di Lovecraft, non sappiamo più riconoscerli, e ci trasformiamo in spettri scavando una fossa dove poter posare le nostre amate spoglie.

Che si tratti della tenuta di Tiled House, ambientazione di numerose storie dell’autore (che così tanto ricorda la Hill House di Shirley Jackson dove incubi e apparizioni orrorifiche sono consuetudine), o del ciclo di racconti dedicati alla figura del dottor Martin Hesselius (padre dei detective dell’occulto), la scrittura di Le Fanu fa i conti con il debole vacillare delle nostre certezze, innestandosi al crocevia tra ciò che ci spaventa e ciò da cui siamo irrimediabilmente attratti, e ricordando ai lettori che il probabile è sempre più spiazzante del visibile.

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