Gli altri, conversazione con Aisha Cerami

by Paola Manno

Gli altri di Aisha Cerami, appena uscito da Rizzoli, è un romanzo che racconta la vita degli abitanti di un condominio, il “Roseto”, luogo in cui sembra regnare l’armonia.  L’arrivo di nuovi inquilini rompe tuttavia un equilibrio basato su un’idea condivisa: possiamo creare una comunità in cui vivere serenamente.

Aisha Cerami è stata in Puglia giovedì scorso per il bellissimo festival “Lector in fabula” nella Chiesa di San Benedetto a Conversano.

Il romanzo, che ha una scrittura precisa, pulita, coinvolgente, pare invitare a una riflessione, che in questo periodo in cui su “gli altri” si addossano tante colpe, mi pare molto attuale. Ho il piacere di sciogliere alcuni nodi insieme all’autrice, collaboratrice per alcuni anni de «Il Sole 24 Ore», candidata nel 2019 ai David di Donatello per la colonna sonora del film A casa tutti bene, al suo primo romanzo.

Quando leggo, sottolineo. Ci sono frasi che le leggerò, perché mi hanno spinto a delle riflessioni, e proprio su questi punti vorrei incentrare questa conversazione. Procederei dunque attraverso delle parole “chiave”.

La prima è la parola “donna”: il romanzo inizia con la descrizione di un piccolo mondo felice, abitato da donne felici: la vecchina con il cane, la ragazzina che annaffia i fiori, le vicine di casa… sembra un mondo in cui la solidarietà femminile esiste per davvero. Poi, nell’arco del romanzo, si snodano i fili e il sogno di sorellanza si sgretola. Qual è la sua idea personale del concetto di “sorellanza”?  Mi piacerebbe anche sapere dal punto di vista lavorativo, com’è il suo rapporto con le altre donne?

Credo nella sorellanza. Assolutamente. Ho numerose amiche che mi sostengono, credo davvero tanto nel rapporto tra donne. Noi abbiamo l’istinto dell’empatia, che nasce dal fatto di poter essere madri. Questo senso di sorellanza è molto spiccato nel mondo arabo. Però allo stesso modo io credo ci siano delle ombre nell’essere umano, nell’uomo e nella donna, naturalmente. La sorellanza non è una cosa scontata. Bisogna costruirla. Dal punto di vista professionale, nel settore dell’editoria, mi sembra che ci sia una buona collaborazione, vedo molti piccoli gruppi di donne lavorare insieme , donne che si sostengono.

La seconda parole è “felicità”. Ho sottolineato questa frase che vorrei leggerle e partire da qui.  Si parla di comunità. “Il Conte aveva trovato in queste condizioni, una sorta di conforto. Sarebbe stato facile vivere così, dentro a un amore regolamentato. Dove il bene era obbligatorio. Dove l’affetto faceva parte di un accordo.” Mi piace molto questa definizione di “comunità”, di ricerca del bene comune, che però alla fine si rivela essere un fallimento, perché quello che manca è proprio la libertà. A me questo è sembrato il filo conduttore del romanzo: la ricerca della felicità.Quindi vorrei chiederle: Cos’è per lei, la felicità? La sua idea coincide con la libertà o si può essere felici in un altro modo? Si può trovare il senso di felicità nella comunità e in che modo?

Questa è una domanda difficile perché il concetto di felicità è alto, è complicato spiegarlo. Direi che la felicità è un momento che si ricorda, come il dolore. È diverso dal concetto di serenità, per esempio. Perciò è un concetto molto personale. Non deve coincidere per forza con la libertà. La libertà terrorizza l’uomo, perciò l’uomo mette tanti paletti alla sua vita: sono le regole che organizzano la società. Pensi alle religioni, a tutti i paletti che sono stati messi per sopravvivere all’idea della morte. Al di là della felicità, io credo che bisogna esserne consapevoli. Ciò che non rende felici è la manipolazione. Solo se si sceglie, qualsiasi sia la scelta, si può raggiungere la felicità. Puoi decidere di fare l’astronauta o lo spazzino, non importa. Bisogna però aver avuto la possibilità di scelta, per esempio se non hai potuto studiare, se non sei stato appoggiato, non hai una vera libertà di scelta. Per quanto riguarda la felicità “comune”, io sono convinta che la comunità, di per sé, sia un luogo meraviglioso; tuttavia è fatto di persone, e la gente è piena di ombre. All’interno della comunità, queste ombre si tirano fuori. Pensi ai piccoli gruppi di amici che partono insieme in vacanza, ad esempio. Non è raro che a un certo punto vengono fuori degli screzi, a volte delle vere e proprie tragedie!

La terza parola è “speranza”. A un certo punto, uno dei protagonisti, il Conte, dice “La speranza! La speranza unisce, genera progetti… noi dobbiamo sperare. Oggi più che mai. Prendevi per mano e sperate con me”. A me è sembrato un invito, anzi di più, quasi un messaggio politico, nel senso più puro del fare politica, intendo! Lei invia un messaggio di critica e insieme, appunto, di speranza. Perché ha deciso di scrivere questa storia e che valore ha la scrittura? La scrittura è, secondo lei, fare politica?

Ho deciso di scrivere perché sono innamorata dell’essere umano, dell’altro. Avevo bisogno di trasformare tutto ciò che ho sentito e ascoltato finora in una storia. Un condominio mi è sembrato un mezzo per mettere insieme tanti personaggi. La scrittura diventa politica se viene letta, ma per me è stato involontario. Certamente non ho scritto per fare politica. Qui si parla del giudizio. La verità è che spesso siamo severi con gli altri, e clementi con noi stessi. Io non dico che dobbiamo essere più severi con noi stessi, anzi! Dico invece che dovremmo essere più clementi con gli altri. Non ho scritto perché volevo dire cose di destra o di sinistra, quelli che giudicano gli altri, che li considerano un nemico, non stanno di certo da una parte sola.

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