I colpevoli di Andrea Pomella, attraverso la terra dei traditori

by Vito Alberto Lippolis

Un anno fa il New Yorker pubblicava il pezzo che si pensava avrebbe distrutto l’America, un’altra volta.

Joe Biden sarebbe stato – nonostante non fossero ancora conclusi i processi delle primarie – il candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti e la pubblicazione più liberal dell’East Coast faceva uscire pagine lunghissime sul Biden minimo: più piccolo di Joe, più ingombrante di Beau, Hunter Biden o il sassolino nella scarpa di un uomo e di una nazione.

Hunter Biden è uno scalzacane tutto stropicciato che ne ha fatte di ogni: ha perduto la madre all’età di due anni, ha preso una laurea in Giurisprudenza a Yale e ha passato poco più di un anno da arruolato, ha attraversato l’alcool e la droga, ha avuto una storia con la vedova del ben più realizzato fratello, ha quasi distrutto tutto accettando un posto in una società ucraina che di lui apprezzava, come un po’ tutti, solo il cognome.

Hunter Biden ha rischiato e rischia – Covid permettendo – di essere per Joe quello che le email sono state per Hillary nel 2016; il tallone d’Achille di un public servant che è stato tutto fuorché un cattivo padre.

Donald Trump, in quello che probabilmente sarà il primo e l’ultimo e l’unico dibattito per la presidenza, non ha tardato a menzionarlo: Biden può vantarsi quanto vuole di Beau, il figlio morto e perfetto (uno che perfetto lo era perfino da vivo), ma Trump – e l’America – conosce e ricorda solo l’altro, Hunter.

«I’m proud of him, I’m proud of my son», sono fiero di lui, sono fiero di mio figlio, dice Biden, sperando di chiudere la discussione. Effettivamente la discussione è chiusa: Trump è riuscito a fargli pronunciare la bugia più grande, davanti a tutta l’America.

Il fatto è che non ci sono bugie più grandi di quelle che non possiamo evitare di pronunciare. E non esistono cose che non possiamo evitare come la famiglia, come i padri e come i figli.

L’ultimo libro di Andrea Pomella, I colpevoli (2020, Einaudi, pp. 216, € 18,50), parla proprio di dell’inevitabilità del padre.

Andrea Pomella (il personaggio, non l’autore; ma tant’è, siamo in zona autobiografia – Dio ci preservi Pomella e tutti i non arresi all’autofiction) ha poco più di quarant’anni e sono trentasette anni che non ha un padre. La storia è abbastanza semplice: una famiglia di borgata, un padre una madre e due figli, lui si innamora di un’altra e il figlio maschio non gli perdona il tradimento, votandosi a sottrarglisi per tutta la vita. Un giorno il figlio diventa padre e decide di non voler privare il suo di figlio di un nonno. I colpevoli, insomma, potrebbe essere definito la storia di un ricongiungimento, ma, al solito, la vita non è una storia e la realtà è sempre un po’ più complicata.

Come già nell’esordio einaudiano dell’Uomo che trema, Pomella tenta di comprendere cosa gli sta accadendo leggendo e leggendo come un matto (pun intended: il Pomella dell’uomo che trema è un depresso che racconta la malattia e la cura): le citazioni sono tante ed elegantissime, spaziando da Hillman a Kafka a Leopardi, tutte cucite assieme sobriamente.

Effettivamente I colpevoli è un libro pieno zeppo di idee, peccato che alla fine l’idea dell’autore sia una e sia quella dell’epilogo: come già nell’epilogo del precedente romanzo, una morale minima su come la vita continua comunque, noi siamo piccoli, non bisogna prendersela troppo se i problemi sono tanto più grandi di noi. Consolatorio, ma non granché se confrontato alle citazioni lette giusto poche pagine prima.

I libri di Pomella sono libri intelligenti, interessanti perfino, però per ragioni che hanno poco a che fare con le scelte dell’autore: è un po’ come trovare L’anno del pensiero magico interessante solamente in virtù delle nozioni di cardiologia snocciolate ossessivamente dalla Didion. Il punto della letteratura, evidentemente, non è quello.

Leggere Pomella fa sentire molto intelligenti: egli d’altronde non è mica un borgataro pasoliniano, la sua è una borgata che è «piú un anywhere carveriano», è uno che ha letto e che ha studiato. Però alle volte questo gli si ritorce contro: credo Pomella sia l’unico romano ad aver mai utilizzato la parola “travet, manco fosse l’Ingegner Gadda (questo nell’Uomo che trema, nei Colpevoli, probabilmente anche a causa del minor tempo di gestazione dell’opera, la scrittura è più naturale, sembra aver raggiunto un maggior grado di sincerità stilistica.)

Nel complesso, I colpevoli è un libro che non resterà, ma che per i suoi lettori sarà di grande compagnia in un viaggio che raramente riusciamo a evitare.

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