I consigli di Velasquez: “Il sentiero”, l’assolutamente altro di Peter May

by Francesco Berlingieri
Ebridi


Peter May
Il sentiero

(Einaudi Stile Libero, 2017, 368 pagine, 19 euro)


Un uomo si risveglia sulla spiaggia di Luskentyre, sull’Isola di Harris, Ebridi scozzesi.

Non ha coscienza di sé e nessuna memoria del perché si trovi lì, trasportato come un naufrago dalla furia dell’Atlantico. C’è qualcosa di orribile che tenta di rimuovere, lo sente. Ma, per il resto, la vita che gli si spalanca dinanzi è un’incognita.
Comincia così Il sentiero, in ordine temporale l’ultima fatica di Peter May, giornalista e scrittore di Glasgow. Uno che, a cinquantanove anni, ha deciso di dimostrarci quanto sia bravo ad intessere trame, di quelle – per brevità e banalità – dette “noir”.

Ma ridurlo ad un giallista sarebbe un atto di grande scortesia. Peter May è uno che – dote preziosa – sa raccontare storie. Ed è uno che – dote ancor più rara – sa costruire architetture lineari e di concerto complesse, per accompagnarci ad epiloghi agognati e mai sciocchi. Un brillante narratore nell’agone della letteratura di consumo. Uno splendido esempio di costruttore. Di quelli alla Ken Follett. Nei suoi romanzi ogni cosa è perfetta esattamente dov’è. Ogni tassello – e di questo il lettore se ne accorge sino ad avere la sensazione di poter anticipare lo scrittore – trova il suo posto nello spazio-tempo. E ci lascia lì, soli, a chiederci perché non l’avevamo pensato prima. Come abbiamo fatto a non arrivarci da soli.
Da qui, va da sé: il primo motivo per cui consiglio Il sentiero (ma anche L’isola dei cacciatori di uccelli e, a mio modesto avviso, L’uomo di Lewis) è la perizia formale del suo autore.

Poi viene l’ambientazione: un piccolo universo-mondo ai confini di tutto, tra spiagge gelide e banche, camini alimentati a zolle di torba, cottage su alture con vista oceanica, e whiskey delle Isole. Luoghi talmente distanti da noi da apparire come l’assolutamente altro, riparo terrestre di comunità forti ed ostinate, unite dalla comune fatica del secolare adattamento, e talvolta divise da odi e rancori potenti e profondi, che affondano nei secoli come se l’oblio non potesse sorvolare sulla differente concezione del tempo, a certe latitudini.

Le donne e gli uomini delle Ebridi hanno tutto il tempo del mondo per sconfiggere gli elementi di un nuovo inverno e vendicarsi di un torto atavico. E infine – ma, come si dice: non certo per ultimo – il rude piacere di farsi trascinare in una deriva così sconosciuta e tanto familiare, nella risoluzione di casi complicati che rimandano alla ricerca di un’identità che – nei romanzi di May – tante volte sfugge e va ricercata con logica e sentimento: un po’ come il suo uomo senza nome sulla spiaggia di Luskentyre.

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