Il calcio e il fascino discreto dei dittatori. I Mondiali senza gloria di Giovanni Mari al Foggia Festival Sport Story

by Enrico Ciccarelli

Non è un libro facile, questo «Mondiali senza gloria», che Giovanni Mari ha presentato con successo, e con l’abile conduzione di Antonio Di Donna, nella Sala Narrativa della Biblioteca Provinciale durante il magnifico Foggia Festival Sport Story 2022, la rassegna di letteratura sportiva organizzata dalla Fondazione Monti Uniti di Foggia in collaborazione con il Polo Biblio-Museale «La Magna Capitana» e la preziosa direzione del suo ideatore, il giornalista Filippo Santigliano. Molto pregevole la lettura scenica introduttiva, curata, come è d’uso per la rassegna, dalla Piccola Compagnia Impertinente, rappresentata per l’occasione da Mario Mignogna in veste di coordinatore e da Francesca Camplese, Antonio Diurno e Antonio Severo come attori. Il libro di Mari (People Edizioni, 2022) è una lettura ostica perché sfida apertamente due distinte mitologie: quella del calcio, e in particolare della Nazionale, come purezza incorrotta e distante dalle miserie del mondo; e quella degli Italiani brava gente, che magari saranno anche un po’ superficiali e furbetti, ma alla fine fanno parlare il cuore. In realtà, nel quadriennio 1934-1938, nel quale Vittorio Pozzo conduce per due volte gli Azzurri alla vittoria nella Coppa Rimet, con l’intervallo di una irripetuta medaglia d’oro ai giochi di Berlino, il regime fascista usa anche il calcio dentro una ben oliata macchina del consenso all’ombra della quale si nasconderanno i fallimenti in politica economica, le atrocità della guerra coloniale, la somma ignominia delle leggi razziali.

Con scrupolo di ricercatore, Mari ci accompagna nelle nefandezze e negli inganni orditi dal regime, dal tabellone costruito su misura per fare fuori almeno una delle potenze danubiane, all’indegno furto compiuto ai danni della Spagna repubblicana e del suo mito, il portiere Ricardo Zamora, fino allo scientifico azzoppamento degli attaccanti austriaci in semifinale. Una squadra forte, ma che poteva essere definita “nazionale” solo con una buona dose di fantasia, visto che pullulava letteralmente di oriundi sudamericani, e in particolare argentini. Addirittura il centromediano Luisito Monti aveva disputato quattro anni prima a Montevideo la finale persa dagli argentini contro l’Uruguay.

Aiutini e strappi alle regole non sarebbero comunque bastati se, la Cecoslovacchia del portiere Planicka (il «gatto magico»), in vantaggio di un gol, non avesse fallito una rete a porta vuota e colpito tre volte i legni prima che «Mumo» Orsi, un altro argentino, segnasse la rete del pareggio che ci portò ai supplementari e al gol decisivo di Angiolino Schiavio. La storia dei mondiali è costellata di altre vergogne; ma solo quella circostanza l’intenzione propagandistica fu così marcata, estendosi da cospicue mance in stile qatariota alle pressioni ambientali su arbitri e calciatori avversari.

Molto più legittima, sul piano sportivo, la vittoria del 1938, che si caratterizzò soprattutto per la fascistizzazione spudorata degli Azzurri, rappresentanti più di un regime che di una nazione. Ma quella squadra era obiettivamente fortissima, nazionale in senso autentico. E non è imputabile a Mussolini se i brasiliani, presuntuosi fin da allora, lasciarono a riposo per la semifinale Tim e Leonidas, i loro calciatori più forti, per averli freschi in finale. È comunque ammirevole la lucidità e lo scrupolo con cui Mari indaga e smonta l’apparato propagandistico fascista.

«Mi sono imbattuto in questi campionati perché, studiando la propaganda politica, mi sono accorto che il Fascismo negli anni Trenta era in grande difficoltà. Doveva coprire la grave crisi finanziaria, che contraddiceva quello che il regime raccontava agli Italiani, doveva aggrapparsi a qualcosa che procurasse consenso. Mussolini fu molto lesto a trovare nel calcio un trampolino fenomenale, un proiettile che lo avrebbe catapultato nelle teste di tutti gli Italiani per ipnotizzarli. È chiaro che se ti aggrappi al calcio devi vincere, devi renderti protagonista di un evento mondiale. Per questo fa di tutto per avere i mondiali 1934 in Italia, garantendo una copertura finanziaria che mai nessuno darà più, ospitando a spese pubbliche, malgrado le casse dello Stato fossero piuttosto sguarnite, tutte le squadre partecipanti. Oggi non succede così neanche nei miliardari mondiali del Qatar. Ovviamente la Nazionale doveva vincere, e non vennero lesinate pressioni sugli arbitri perché l’Italia avesse un trattamento di favore (e in effetti battemmo Spagna e Austria solo grazie a errori arbitrali) E questo nonostante fossero autentici campioni, basta pensare a Meazza.»

E nel 1938?

«Qualche aiutino ci fu anche lì, ma si verificò soprattutto quella che ritengo una vergogna: il fatto che il regime imponesse alla Nazionale la maglia nera, la camicia nera delle squadracce fasciste. L’Italia giocò contro la Francia a Marsiglia in camicia nera, e la squadra venne fischiata dall’inizio alla fine non solo dal pubblico francese, ma anche dagli esuli italiani, che vedevano in quel gesto un insulto alla loro condizione di ribelli a un regime che li aveva costretti a lasciare le loro case e la loro Patria. E sono rimasto molto male a leggere che Vittorio Pozzo, anziché passarci sopra, obbligò i giocatori a ripetere il saluto romano, che era obbligatorio per tutti gli atleti.»

Non sono certo quelli del 1934 gli unici mondiali in cui la squadra di casa ottenne favori. Lei ritiene che siano stati i peggiori?

«Sicuramente le pressioni sugli arbitri furono particolarmente significative. I padroni di casa nel tempo sono stati favoriti da altre circostanze, a volte allucinanti come in Inghilterra e in Argentina (con la famosa “marmelada” del 6-0 al Perù). Ma il problema vero è un altro: è come il potere ha sempre usato il mondiale per creare consenso e –diciamo così- scacciare gli incubi della nazione. Pensiamo proprio ad Argentina 1978, dove le madri degli argentini –sindacalisti, socialisti, progressisti- piangevano i loro figli scomparsi, i desaparecidos. Ma questo non trattenne la Fifa dall’assegnare il mondiale ai dittatori. Menotti, quando vinse la Coppa, si rifiutò di stringere la mano a Videla. E oggi, in Qatar assistiamo alla vergogna di una competizione che è costata la vita a 6500 persone per costruire gli otto stadi; ma nessuno dice niente. In Qatar non esistono diritti civili, ma la Fifa ci sguazza, tanto è vero che i dirigenti di questo organismo, non più tardi di dieci anni fa, hanno detto che i sistemi autoritari garantiscono un miglior mondiale. Ancora oggi quei dirigenti dicono senza vergogna che non esiterebbero a dare i mondiali alla Corea del Nord. E il regime fascista degli anni Trenta era questo: un regime dittatoriale che perseguitava i suoi cittadini e uccideva la libertà. Ma il Mondiale gli venne assegnato lo stesso.»

foto courtesy Ubik

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