Il libro delle case di Andrea Bajani e la prigione rifugio del carapace

by redazione

Il libro delle case di Andrea Bajani non è un romanzo tradizionale. lo schema narrativo si snoda infatti su due livelli paralleli: su un piano una serie di case,sull’altro la vita e la storia dei personaggi che in queste case si muovono e ruotano intorno al protagonista, chiamato io. Particolare significativa, infatti, è la scelta dell’autore di non dare un nome proprio ai tanti personaggi ma di definirli con il nome generico del ruolo che interpretano…io, bambina, padre, tartaruga, prigioniero…se generalmente privare le persone del nome proprio significa privarle, in un certo senso,della propria identità’, in questo caso questa scelta non fa che darci la certezza che le vere protagoniste del romanzo non siano le persone ma le case.

Case, ovvero stanze, mobilio, suppellettili, persino fasci di luci che illuminano angoli specifici che, attraverso i ricordi raccontano la vita, i pensieri, le emozioni dei personaggi come se trasudassero dai muri che ne sono impregnati. Un romanzo che racconta una storia, un intero percorso di vita dal 1978 al 2018 (in realtà c’è qualche salto indietro al 1962 e 1968) attraverso le case abitate, visitate, frequentate, utilizzate da io.

Leggendo, percorriamo una strada parallela in un alternarsi di proiezioni e retrospezioni di case e la crescita di io da bambino gattonante a giovane, a uomo, marito e padre di famiglia. Nel romanzo ci sono anche case non case,che case lo diventano perché riempite dalla vita di chi le usa o ci agisce; case, intese quindi come il luogo della vita, dei pensieri, delle azioni, dei sogni, delle speranze, dei dolori. casa delle pietre è un ospedale, casa del risparmio è un conto corrente, casa semimovente di famiglia è l’automobile con cui la famiglia si sposta nei suoi viaggi. All’interno di questa storia, due episodi storici molto significativisi introducono nella narrazione: il rapimento di Aldo Moro e la morte di Pier Paolo Pasolini.

E ci imbattiamo in io che, piccolissimo, attirato dalla luce di un televisore immagina di proiettarcisi al suo interno, ritrovandosi nella stanza del prigioniero Moro. Mai come in questo periodo, in cui, in un certo qual modo siamo stati costretti a vivere in casa l’abbiamo considerata sia una protezione(dal contagio, dal virus) ma anche una sorta di prigione dorata. È ciò che Bajani ci suggerisce:l a casa come protezione e prigione nello stesso tempo.

Ce lo suggerisce nel capitolo 22-casa della morte di poeta quando parlando di tartaruga, personaggio probabilmente metafora di chi la casa se la porta dietro,scrive: “il carapace è il suo carceriere- ciò che la protegge la condanna”.

Ma già nel sesto capitolo, casa sotto la montagna 1983, leggiamo:”la casa sotto la montagna è il luogo dentro cui padre ha murato la famiglia di io,murata viva la famiglia sta al sicuro!”“

Il libro delle case è un libro silenzioso in cui mancano i dialoghi tra i personaggi. Non mancano però, le voci delle case, o come suggerisce l’autore, “la voce dell’appartamento”;voci che, quasi in forma onomatopeica, ritornano spesso, come un ronzio di elettrodomestico o il cigolio di un mobile e, quasi già dalle prime righe,il romanzo può essere ascoltato oltre che letto.

In realtà è un romanzo che può non solo letto e ascoltato ma osservato e persino annusato per il grande potere descrittivo e la forza delle parole che sprigiona addirittura gli odori. il percorso di vita di io è anche un percorso di ascesa sociale, e si manifesta attraverso il passaggio nelle varie case, dalla casa di sottosuolo, non piccola ma umida e buia, (dove comunque padre è chiuso nella propria stanza per giorni…forse per settimane) a casa di parenti, a casa di famiglia a casa signorile di famiglia.il lettore compie,insieme all’autore,un percorso in cui il miglioramento delle varie case,per arredamento, esposizione, grandezza e anche per la loro disclocazione nella città,sono continui riferimenti ad un conflitto e ad un passaggio sociale.

Il libro delle case non è un romanzo da leggere in fretta, ogni frase ha bisogno infatti, di essere gustata, pensata, e interiorizzata. Ogni parola, scelta con cura da Bajani, deve avere il tempo di scendere e penetrare nell’anima perché c’è molto di ognuno di noi nelle sue parole. Chi non ha lasciato andare una casa dell’infanzia, della giovinezza, una casa di famiglia? è bello pensare, dopo la lettura di questo romanzo,chei muri di quelle case,ormai svuotate, trattengano per sempre qualcosa del nostro vissuto. “lo svuotamento di una casa è il momento di protagonismo per i chiodi, concepiti per vivere nascosti e che compaiono alla luce solo in questi casi. Fuoriescono dalle pareti come antenne di lumache, si protendono per vedere: sono gli occhi del mattone, vedono che non è rimasto più nessuno. all’ingresso di io, il paesaggio è quello di una crocefissione.”(cap.41-casa signorile di famiglia, pag.138)

Antonella Quarato

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